Paura e Consapevolezza: i due estremi del comportamento umano

Da Motovita

Torno ancora una volta sul concetto di “paura” già trattato in questo articolo:
Perché c’è tanto odio nella nostra società?

Come mai insisto tanto sulla paura? E perché la contrappongo alla consapevolezza?

Nel rispondere a queste domande tenterò di analizzare la questione da un punto di vista psico-filosofico.

Diciamo che ho notato una cosa: la paura impedisce alle persone di evolvere dal punto di vista psicologico. Agisce come una sorta di cavezza mentale che mantiene la psiche umana legata agli istinti più primordiali. Va notato che i nostri istinti derivano in gran parte proprio dalla paura. La paura è un’emozione e se non fosse presente vedremmo minacciata la nostra stessa sopravvivenza. Pensiamo agli animali feroci e all’effetto che producono sull’essere umano, oppure al timore delle altezze e della velocità.

C’è però un problema: il cervello umano ha subito nel corso del tempo uno sviluppo del tutto originale rispetto a quello degli altri animali, e tale evoluzione ha generato la cosiddetta coscienza. Un gatto non è cosciente come lo siamo noi, infatti è lecito supporre che esso non sappia di essere nato e di procedere verso la morte. Tutt’al più il felino è cosciente di esistere qui ed ora. Siete d’accordo?

L’esistenza del gatto gira dunque attorno al suo istinto di sopravvivenza, come è naturale che sia.

L’essere umano percepisce invece lo scorrere del tempo e sa che un giorno morirà. Ciò lo porta a discostarsi in gran parte da quelli che sono i suoi istinti primari, i quali lo vorrebbero totalmente legato alla sopravvivenza della specie. Il lavoro, il denaro, le arti, la cultura, le religioni e quant’altro sono invenzioni nate nel momento in cui gli esseri umani hanno iniziato ad avere coscienza di se stessi riuscendo così a sviluppare la capacità di astrazione.

Il denaro rappresenta un evidente esempio di astrazione. Le religioni spostano il fulcro dell’esistenza all’esterno, trovando in tal modo un significato metafisico a quella che è in realtà una questione piuttosto concreta, ossia la vita e la morte.


Gli istinti che ci tengono in vita sono andati via via slegandosi dalla sopravvivenza, non essendo più necessario scappare davanti ai predatori e mettersi all’opera per trovare il cibo necessario alla sussistenza. La ricerca del cibo è stata sostituita dall’accumulo del denaro, mentre i predatori non rappresentano più una minaccia.

Tuttavia è rimasta la paura.


Essa si è però trasformata in un’emozione generalizzata e non più focalizzata sulla sopravvivenza fisica dell’individuo. Diciamo che anche la paura è stata sottoposta ad un processo di astrazione, il quale l’ha resa molto difficile da comprendere. Non si tratta più di una paura concreta e specifica, legata agli istinti, per esempio quella che sorge quando ci compare davanti un serpente, bensì di un vero e proprio filtro mentale che agisce sulla coscienza anche in mancanza di una reale minaccia alla sopravvivenza.

Finché non c’era la coscienza immagino che le paure fossero davvero molto basilari, proprio come accade ad un animale che scappa udendo un forte rumore e dopo qualche momento sembra scordarsi dell’episodio.

Il discorso cambia quando entra in gioco la coscienza. La capacità di astrazione porta gli individui a sviluppare fobie e timori del tutto ingiustificati.

Quante persone hanno paura di cose che neppure conoscono? E non mi sto riferendo soltanto ai pericoli fisici! Il che è assolutamente assurdo se ci ricordiamo di possedere il raziocinio. La paura ha senso nel momento in cui serve a proteggerci da qualcosa che minaccia la nostra salute, mentre quando viene rivolta verso un qualcosa che non ci tocca assume automaticamente un ruolo del tutto controproducente.

Pensiamo per esempio alla paura della morte. Io posso comprendere la paura della sofferenza, dalla quale non sono immune, ma non capisco chi teme la propria morte. Come scriveva Epicuro: <<quando ci sono io non c’è la morte, quando c’è la morte non ci sono io>>.

Quello che voglio dire è che il timore della morte si trasforma immediatamente in paura della vita stessa, proviamo a pensarci. Se vivo temendo la morte sarò dominato dalla negatività e la mia esistenza si baserà sull’evitare qualsiasi pericolo, portandomi alla rinuncia di tutto ciò che può darmi gioia e piacere.

Questo ci fa capire che essere coscienti non significa essere anche consapevoli. Di certo si parte dalla coscienza, ma laddove la paura prende il sopravvento non c’è possibilità di espandere la propria consapevolezza.

Ho come l’impressione che i due elementi rappresentino due estremi, da un lato la paura e dall’altro la consapevolezza (alcuni lo chiamano amore).

Una specie di dualismo assolutamente necessario per arrivare a sviluppare una visione più ampia e dunque consapevole della realtà.

Se non esistesse la paura non saremmo neppure stimolati a capirla e superarla, pertanto rimarremmo decisamente meno consapevoli.

D’altro canto la paura è la condizione-base, perciò rimane predominate fintantoché non si decide consapevolmente di affrontarla.

Una volta dato il via al processo di elaborazione della paura si intraprende una strada difficilmente prevedibile nonché ricca di incognite.

Perché farlo, dunque?

Non so rispondere a questa domanda. Io non posso farne a meno, quindi non ho scelta.

Allo stesso tempo noto che tantissime altre persone fanno di tutto per evitarlo. Preferiscono vivere di fantasie, false certezze, bugie vere e proprie, e tutto ciò per non dover mai fare i conti con la realtà.

Per migliorare la propria consapevolezza temo che sia necessario mettere in discussione tutto quanto, partendo naturalmente da se stessi e dalle proprie certezze personali. Più passa il tempo e più è difficile farlo, suppongo, avendo oramai basato la propria vita su pilastri che potrebbero facilmente crollare.

Ecco dunque che si preferisce temere l’ignoto piuttosto che andargli incontro per farne esperienza e comprenderlo. Si decide inconsapevolmente di accettare una visione distorta e dolorosa della vita anziché accettare una semplice verità: siamo creature come tutte le altre, non abbiamo nulla di speciale e tutto ciò che facciamo serve soltanto ad occupare il nostro tempo.

Sentiamo la necessità di suddividere tutto quanto in due estremi contrapposti: bene e male, bello e brutto, giusto e sbagliato, desiderabile e non desiderabile, dentro e fuori. Abbiamo costantemente bisogno di un nemico da combattere e di un eroe da ammirare. Non riusciamo a bastarci da soli e proiettiamo continuamente i nostri bisogni e la nostra paura sugli altri, rispecchiandoci in loro e rifiutando tutti coloro che riflettono i nostri vuoti.

Ma naturalmente questa visione dualistica ci fa soffrire perché poi dobbiamo fare di tutto per rientrare nelle categorie giuste, anche se sotto sotto non ci appaiono proprio così giuste.

La paura di non farcela ci fa stare male. Ma cosa dobbiamo fare, in definitiva? La risposta che mi sorge spontanea è banale: dobbiamo solo cercare di stare bene.

Ma se avere paura ci fa stare male, perché insistiamo su questa strada?

Credo che la paura non possa generare nulla di positivo se non viene affrontata e razionalizzata. Penso al contrario che sia alla base dell’odio, come già ho scritto altrove, e che ci mantenga inchiodati ad un livello di consapevolezza davvero limitato.

La paura divide gli esseri umani, genera avidità, guerre, problemi inesistenti, negatività.

La paura produce una forza estremamente intensa e contagiosa. Non a caso gli individui meno consapevoli si circondano di altre persone simili a loro, dando così vita ad un circolo vizioso.

Sono gli stessi che vivono di certezze assolute e che non comprendono il concetto di relativismo. Ma se qualcuno riesce ad entrare nelle loro corde offrendo una visione alternativa delle cose, e magari addirittura contrapposta, essi abbandonano la vecchia prospettiva per abbracciare quella nuova senza riserve. In pratica passano da una certezza assoluta all’altra, da un dogma all’altro, da un estremo all’altro.

Temo che questo modo di agire non abbia nulla a che vedere con l’espansione della propria consapevolezza!

Vi faccio un esempio particolarmente attuale: coloro che passano da una religione ad un’altra. In poche parole queste persone non riescono ad accettare la vita per quella che è, non ce la fanno proprio, pertanto hanno bisogno di un’entità esterna che dica loro cosa fare e cosa non fare, cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ad un certo punto credono di aver trovato la verità in una nuova entità ed eccoli che corrono a sottomettersi ad essa abbandonando quella che fino al giorno precedente era la loro più grande certezza.

Io ci vedo soltanto una grande paura che cerca di colmarsi attraverso la costruzione di una realtà illusoria.

La consapevolezza, al contrario, è sinonimo di libertà. Chi conosce le cose non ha motivo di temerle e può persino sfruttarle a suo favore. Può godersele per quello che sono, senza il bisogno di trasformarle in pericolose illusioni e aspettative. La sensazione che ne deriva è quella della serenità e della fiducia in se stessi.

Se da un lato la paura ci spinge a vivere di dualismi ed illusioni, dall’altro la consapevolezza ci permette di comprendere che la realtà esterna non è altro che uno specchio del nostro mondo interiore. La persona gelosa finirà per essere tradita, quella avida perderà i propri risparmi, il bugiardo resterà vittima delle proprie menzogne e così via.

Tuttavia la consapevolezza non può essere insegnata. Va compreso che le risposte fondamentali vanno ricercate dentro di noi. Nessun Dio, nessun maestro e nessuna ideologia politica potrà mai fare il lavoro al posto nostro poiché ciascuna di queste cose è un prodotto umano.

Inoltre, se davvero esiste un Dio creatore, di certo non è uno di quelli che vengono descritti nei testi sacri. Basta poco per capirlo, infatti quelle entità mostrano tutte delle caratteristiche tremendamente umane. Che senso avrebbe dunque adorare un’entità che ci ha fatti a sua immagine e somiglianza? Se noi siamo come lui, allora non abbiamo bisogno della sua presenza.

La conoscenza è il bene principale di cui disponiamo per espandere il nostro mondo interiore e la nostra visione delle cose. La seconda risorsa è la paura. Sì, proprio la paura. Se essa ha ancora un senso ora che non dobbiamo più lottare per la sopravvivenza fisica, io credo che sia proprio quello di aiutare la nostra coscienza ad espandersi.

Sono riuscito a spiegare cos’è la paura e come agisce sulla consapevolezza?

Possiamo discuterne attraverso i commenti, se volete…

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