Pazuzu - Ali sull'abisso a cura di Danilo Arona - 3° parte

Da Alessandro Manzetti @amanzetti
      Terza parte del saggio online di Danilo Arona Ali sull'Abisso dedicato al demone Pazuzu. Per chi ha perso le precedenti puntate, potete trovarle qui: prima parte  seconda parte. In questa ultima parte del viaggio sul dorso infernale di Pazuzu, Danilo Arona continua a esplorare la mitologia, l'arte e l'antropologia antica, alla ricerca delle radici di Pazuzu, transitando dalla civiltà sumera a quella assiro-babilonese, da Lamashtu a Lilith, avvicinando simbologie e iconografie che ci lasciano osservare l'uomo di secoli fa con i suoi pensieri, timori e visioni dell'esistenza, camminando in un labirinto di credenze e archetipi che lentamente scorrono attraverso i secoli, arrivando fino ai nostri tempi. Nello stesso tempo potremo approfondire le evoluzione moderne e i parallelismi con la letteratura e il cinema moderno, dall'Esorcista di Friedkin e Blatty, con gli arcani e inspiegabili incidenti durante la realizzazione del celebre film, fino agli ultimi sequel e prequel che tentano di riprodurre, con più fortuna o meno, l'infernale vento sollevato da Pazuzu, il suono orribile delle sue nere ali.   Danilo Arona termina questo viaggio raccontandoci la sua personale esperienza della visita all' allestimento sonoro di Roberto Cuoghi, Suillakku, presentato al Castello di Rivoli (Torino) nel 2008. Accolto da una gigantesca statua di Pazuzu di sei metri (realizzata sulla base della celebre statuetta del Louvre), Arona vive l'esperienza sensoriale, emotiva e metafisica proposta da Cuoghi, Potremo ascoltare in questo articolo anche un piccolo estratto in mp3 dell'orgia di rumori, musica e canti creata da Cuoghi, e condividere le emozioni raccontate da Arona con questa parole: Suillakku come lamentazione collettiva in una profusione di suoni, versi animali e musiche da altre dimensioni, che definire "demoniaca" sarebbe assai riduttivo. Suillakku ti afferrava nelle viscere e ti trascinava in un universo lisergico e antico, dove malasorte e spiriti maligni sono tutt'uno con le tempeste di vento e le distese di sabbia a perdita d'occhio.   Non vi resta che salire sul dorso di Pazuzu e finire questo lungo e arcano viaggio, che più che darci risposte, lascia aperte davvero molte domande.
    Pazuzu - Ali sull'abisso
di Danilo Arona
3° parte
Pazuzu, l'Invisibile.
  Non siamo così certi che  Friedkin e Blatty abbiano usato la sola fantasia per la realizzazione del film L’esorcista. Il sospetto è che abbiano “lavorato” all’unisono con “qualcuno” che, tirato in ballo, ci abbia messo di suo per remare contro quel film, o per collaborarvi a modo suo. Un’antichissima presenza che forse non ha del tutto approvato di essere stata indebitamente usata sino allo sfregio finale di essere definita “demonio” tout court. Il cinema è una colossale messinscena mitologica, resa possibile dall’adesione emozionale di milioni e milioni di spiriti variamente sintonizzati con immagini, storie e conflitti che della rappresentazione fittizia si nutrono per “esistere”. Anzi, è l’ultima, l’unica possibile, fonte mitologica. Non è così improbabile che Pazuzu abbia iniziato, o perfezionato, una sua particolarissima e silente possessione mediatica sin dal 1974, tornando a trionfare  nell’anno 2000 con una nuova uscita del film L’esorcista. E facendo ben avvertire la sua presenza, ben al di là di una chiacchiera o di una semplice atmosfera, dato pressoché subliminale, visto che il nome di Pazuzu mai è pronunciato nel corso del film. Chiunque, soprattutto in occasione della “versione originale” del 2000, ha ricordato la concatenazione di grandi e piccoli incidenti che costellarono la lavorazione del film e sui quali, occorre ricordarlo, il battage pubblicitario trovò un discreto assortimento di argomenti per tenere desta l’attenzione del pubblico. E non c’è dubbio che un tipo come William Friedkin oggi risponda con una risata quando qualcuno gli ricorda i contrattempi più o meno fatali che diedero al film quell’inossidabile fama di opera maledetta che proprio non se ne va. Il fatto è che oggi si ride, mentre negli anni Settanta semplicemente non esisteva la possibilità culturale di proporre le congetture che stiamo proponendo noi. Congettura, poi, mi pare un termine riduttivo, se non comodo, per evitare di confrontarsi con i problemi “di lavorazione”, che andiamo a elencare alla rinfusa: la statua, ricostruita dallo scenografo Bill Malley, spedita per sbaglio una prima volta a Hong Kong invece che a Baghdad; l’incendio che distrusse il 15 agosto ’73, era di domenica, alle 2,30 di notte il set di casa McNeil; i periodici allagamenti del set della stanza di Regan; il lungo blocco psicologico di Max Von Sydow nell’affrontare la scena dell’esorcismo; le nove morti, tutte all’apparenza casuali, che accompagnarono la lavorazione (dal fratello di Max Von Sydow, morto in Svezia, al nonno di Linda Blair, dall’attore Jack McGowran al ragazzo che refrigerava il set, dal figlio appena nato di uno dei tecnici del set a varie, altre persone legate alla lavorazione del film); il figlio dell’attore Jason Miller, Jordan, investito agli inizi della lavorazione da una motocicletta mentre si recava in spiaggia e finito in terapia intensiva; un anziano attrezzista che, sul set, si ferì misteriosamente e altrettanto gravemente alle dita dei piedi; Ellen Burstyn che si slogò la schiena durante una delle scene del “letto danzante”; la segretaria di Blatty, Noni, che fu aggredita da uno sconosciuto mentre rientrava a casa e, poco dopo, il suo convivente che fu ricoverato in ospedale psichiatrico, in preda a pazzia furiosa; e, per concludere, in bellezza, il crollo della croce della chiesa di Piazza del Popolo, durante un furioso temporale, la sera dell’anteprima romana del film al cinema Metropolitan.         Friedkin nel 2000 rideva, ma nel '74 dichiarava: «Qualcuno sta tentando di convincerci che le forze del male esistano veramente. E ci sta riuscendo, visto che almeno tredici episodi accaduti durante la lavorazione fanno seriamente pensare a interventi diabolici». Ma  forse intuiva, chissà quanto inconsciamente, che il making, un colossale e involontario atto di magia nera, avesse chiamato “di qua” l’Eggregoro di Pazuzu. L’invisibile Vegliante, ri-materiato da “un gruppo di persone particolarmente affiatate” (e così “sincronicamente” convinte, ma forse non consapevoli, da ricostruire fedelmente il ritrovamento di una statuina rappresentante il dio nello stesso luogo in cui nel 1854 la spedizione di Botta fece venire alla luce il Pazuzu del Louvre), aveva forse acquisito sempre maggior indipendenza vitale, sempre più poteri, man mano si erano infittite le riunioni – le giornate di lavorazione – di coloro che avevano presieduto alla sua nascita”? Decidendo di vivere nello “spazio attorno a noi”, quasi sempre invisibile, ma di tanto in tanto “visibile”? E infondendo un fascino sinistro, ma così convincente e potente, a un film altrimenti innocuo? Misteri...           6. Fuck me! Fuck me! Si è già accennato alla funzione apotropaica che il demone Pazuzu ha assunto nel corso dei secoli, transitando dalla civiltà sumera a quella assiro-babilonese. Soprattutto per gli Assiri, lo abbiamo già detto, Pazuzu era “il Male che scacciava le influenze maligne”, nell’applicazione pratica di un atteggiamento deferente e religioso che potremmo definire come una sorta di “sindrome di Norimberga”: troppo potente e crudelmente spietato per essere sconfitto, Pazuzu veniva allora blandito e adorato come simulacro protettivo soprattutto nei confronti dell’orchessa Lamashtu, colei che si trasformerà in Lilith, la vendicatrice notturna che sfogava le sue ire nei confronti del genere umano, uccidendone i piccoli figli. Il mito va in qualche modo decodificato, senza la presunzione che le nostre interpretazioni siano prese per oro colato. Però è un dato di fatto che, in più fonti, Lamashtu e Pazuzu vengano definiti “consorti” e “compagni sessuali” o, quanto meno, “geneticamente contigui”. Di certo i due sono “chimerici”, nonché parenti e della stessa stirpe. Forse Lilith/Lamashtu è stata la prima Eva non perfettamente riuscita. Non vogliamo veleggiare sulle ali del delirio, suggerendo che Pazuzu possa essere stato il primo Adamo con analoghi problemi, ma di sicuro la coppia, da un certo momento in poi, ha cominciato ad avere dei problemi. Magari di territorio, di rivalità o, appunto, “di coppia”.     Protection plaque against Lamashtu Neo-Assyrian era -  Bronze - Louvre
Lo studioso Enzo Pellizer  ci fa intravedere interessanti analogie. Ricordando un libro del grande studioso Walter Burkert, dove Lamashtu viene sviscerata da diverse prospettive, Pellizer elenca varie similitudini della suddetta con gli spauracchi della Grecia antica (la Gorgone, Empusa e Baubò) e con una “immagine etrusca, piuttosto impressionante, che rappresenta una faccia gorgonica su un corpo femminile nudo, accosciato, con le gambe larghe, che esibisce i genitali (la vulva): “Non possono mancare, in questo contesto, i serpenti, e vi sono due belve (leoni o, forse, pantere) che sono tenute dall’orchessa per la gola, come soffocati. Ebbene, anche quest’orribile figura, come Lamashtu, ha i seni flaccidi, pendenti fino al ventre, ed evoca dunque - fra l'altro – l’idea della vecchiaia, di decadenza corporea, l’immagine di un’anziana laida, insieme oscena e spaventosa. Un’immagine che sembra concentrare in un solo individuo i tratti caratteristici di Gorgò e quelli di Baubò, la vecchia che si esibisce in sconcezze e oscenità. L’esibizione genitale, evocatrice di una sessualità problematica e inquietante, è qui unita alla ferinità, alle zanne che sporgono da una bocca beante, e dunque al timore di essere morsi o divorati. Ora, confrontando e mettendo insieme i tratti comuni ricorrenti, si riuscirà forse a ricostruire uno schema morfogenetico più generale, forse capace di rendere conto di alcune costanti strutturali che entrano in gioco nella costruzione (o “fabbricazione”) di queste immagini narrative e iconiche della paura. Si tratta di fantasmi prodotti dal terrore di predazione (i denti, le zanne, gli artigli), associato con immagini della sessualità femminile (in genere adulta o perfino senile, ma a volte anche virginale), vista come una cosa sconcia e repellente, persino angosciante. Zampe di uccello rapace compaiono, insieme alle ali, in una nota figura femminile a bassorilievo custodita a Boston, che rappresenta una sorta di incubo a sfondo erotico, e perfino in alcune raffigurazioni moderne delle Tentazioni di Sant’Antonio, i demoni femminili nascondono zampe con artigli di rapace. Ali e artigli, questa volta di leone, fanno parte dell'iconografia della Sfinge, figura virginale e leonina; artigli e corpo di uccello, con volto e seno femminile, sono i tratti delle seducenti Sirene, divoratrici di carne umana (prima di diventare, più tardi, donne-pesce). Poco diffusa in Grecia, ma tuttavia presente, è la donna-serpente, da Echidna la vipera a Dràkaina la dragonessa. Altre terribili donne-serpente, per i Greci, stavano in terre lontane, come la Scizia o la Libia. I serpenti che circondano Lamashtu e la Gorgone etrusca, a quanto pare, non hanno finito di essere produttivi, e del resto il serpente è uno degli animali simbolici più potenti”.           Così, accanto a tratti morfologici di ordine iconico (l’ibridismo soprattutto), compare anche un modello “comportamentale” che sembra essere presente in tutte quante le discendenti di Lilith/Lamashtu: l’esibizione e l’aggressione sessuale che, se da un lato può far riferimento al controllo e alla regolazione della sfera genitale del bambino da parte del mondo adulto, dall’altro esprime la funzione quanto mai propria della dea decaduta: l’aggressione sessuale notturna al maschio con tutte le sue conseguenze funeste, dall’orgasmo solitario che disperde lo sperma (negando quindi la prosecuzione della stirpe) all’uccisione dei bambini in culla, che riveste la stessa funzione, per giungere alla sessualità non repressa e pienamente vissuta in senso più generale. Ora, sul piano mitologico, non v’è dubbio che il “marito” Pazuzu non possa che entrare in rotta di collisione con una “moglie” di questo genere. L’eternamente produttivo serpente biblico, “uno degli animali simbolici più potenti”, è in lui una parte perennemente (ed eternamente) in tensione, dato che coincide con la forma in erezione del suo sesso. Blatty, quando scrisse L’esorcista, anche sotto quest’aspetto forse ne fu “sincronicamente” influenzato. Con un’arma rettile al posto del pene, Pazuzu è l’Aggressore Sessuale che non risparmia la statua della Vergine Maria nella chiesa di Georgetown, dove il simbolico stupro è visualizzato dall’applicazione di seni posticci e di un fallo di creta colorati di rosso, e che deflora l’adolescente Regan, facendole usare un crocefisso. Non sappiamo per certo se, nell’antichità dei Sumeri, il demone volante che arrivava con il vento fosse noto soprattutto come predatore sessuale. Un distruttore lo era sicuramente, apportatore di malattie e “inariditore delle messi”. Certamente la sua forza sessuale era tutt’altro che celata.         The Beginning / The Dominion Impossibile non citare quel che accadde nel 2004 quando la Morgan Creek fece in fretta e furia rigirare il niente affatto necessario prequel de L'esorcista di Friedkin a Renny Harlin, regista di action senza poche sottigliezze, dopo avere giudicato non presentabile sul grande schermo la versione appena ultimata di Paul Schrader. Il risultato pratico è che esistono (quasi un caso unico nella storia del cinema) due film molto analoghi per quanto diversi, ovvero il fracassone e citazionistico Exorcist – The Beginning, visto al cinema, e il raffinato quanto gelido Dominion – Prequel to the Exorcist di Schrader, disponibile solo in DVD originale, a nostro parere quanto mai preferibile al primo. In ambedue assistiamo all'identico passaggio, quanto mai solare e”irakeno” (anche se ambientato in Africa), con un giovane Padre Merrin intento a scoprire le vestigia di un'antica chiesa cristiana e sotto di essa una cripta dedicata a tutt'altro genere di culto, una sorta di camera della morte di un'antica e sanguinaria deità. Indovinate chi? Basta guardare la statua appositamente ricostruita per i due film. Anche se mai nominato per nome (e anche in questo si fa un po' il verso a Friedkin), non esistono dubbi. Stesse ali, stesso muso ferino, identici artigli. Ma già durante la lavorazione lo stesso Schrader aveva ammesso che quel diavolo era proprio Pazuzu. Anzi, in una sequenza onirica eliminata dal montaggio appariva addirittura la faccia di Capitan Howdy, l'alter ego demoniaco di Pazuzu nel primo film, quello che Regan chiamava “Capitan Gaio” nell'italico doppiaggio.               Pazuzu a Torino Dati i miei precedenti con Pazuzu, non potevo non tuffarmi almeno una volta nell'allestimento sonoro di Roberto Cuoghi, titolo Suillakku, presentato al Castello di Rivoli (Torino) dal 6 maggio al 27 luglio 2008. E per farlo mi scelsi un anfitrione d'eccezione, lo scrittore torinese Alessandro Defilippi, come me attratto dagli stessi paesaggi della mente, nella fattispecie dune desertiche e ventose che coabitano in invisibili regioni sospese tra immaginario e metafisica. Almeno due libri di Alessandro, Angeli e Le perdute tracce degli Dei, ambedue editi da Passigli, hanno molto a che fare con il deserto e con il demone dei venti. Il loro legame con la sabbia e la solitudine è pari all'analoga connessione che il preambolo de L'esorcista di Friedkin vanta nei confronti del deserto di Ninive. E in ambedue i casi troviamo un protagonista per più di un verso sovrapponibile: padre Guido Ferraris nell'opera di Alessandro e padre Merrin nella dimensione "esorcistica" scaturita dalla mente di Blatty. Due preti Gesuiti che si confrontano con il problema del Male (a tutto tondo, con la "emme" maiuscola) in uno spazio dell'anima, in pieno sole (e proprio per questo più minaccioso), che forse altro non è che la prima dimora di angeli corrotti e caduti. Cristiani o sumeri, la loro natura non cambia. Più d'una volta Alessandro Defilippi non ha fatto mistero che nella propria, personale "officina degli attrezzi" ci stanno da sempre quei sostanziali otto minuti di pellicola, ai quali s'ispireranno peraltro (senza mai riuscire a coglierne la magia) tanto L'esorcista 2 - L'eretico di John Boorman quanto i due quasi simili prequel di  Harlin di Schrader. E con Suillakku di Roberto Cuoghi siamo  ancora, e molto, da quelle parti. Anzi, siamo proprio “dentro”.    
Al Castello di Rivoli Defilippi e io, come qualsiasi altro visitatore, fummo accolti da un gigantesco Pazuzu di sei metri (facente il paio con quel Pazuzu del film che fronteggia nel preambolo Padre Merrin in una tempesta di vento e in una cacofonia di sciacalli), realizzato da Cuoghi riferendosi alla statuetta del Louvre con un procedimento di scannerizzazione laser che ha permesso di trasformare l'originale di circa 15 centimetri in una scultura monumentale, già peraltro anticipata dal cinema. Dal momento che Pazuzu non è mai stato una statua, ma al massimo una statuetta per ciondolo o un'elsa per spada, la precisione assicurata dalla prototipazione era considerata dall'artista un aspetto imprescindibile dal significato della sua opera. Come ha sottolineato Marcella Beccaria nel catalogo di Suillakku, Cuoghi si appropria delle superstizioni assire, reiterando l'idea che il demone abiti qualunque sua effigie o riproduzione di essa. Mantenendone l'originale funzione apotropaica (il Male contro il Male), il Pazuzu di Cuoghi diventa così un amuleto a misura di castello e funge da scudo per difendere il luogo da attacchi malvagi o meglio riflettere l'onda di irrazionalità che sembra permeare il mondo contemporaneo.      
Una volta transitati davanti nonché sotto al mitico demone, Alessandro e io raggiungemmo con l'ascensore le sale dell'allestimento sonoro. Il titolo dell'opera faceva riferimento a una posizione di preghiera praticata con la mano alzata dagli antichi Assiri e formata da un'orgiastica miscelazione di rumori, musica e canti, che Cuoghi ipotizzava essere la risposta di un gruppo di superstiti alla gravità del momento. Suillakku come lamentazione collettiva in una profusione di suoni, versi animali e musiche da altre dimensioni, che definire "demoniaca" sarebbe assai riduttivo. Della durata totale di dieci minuti, ma trasmessa ad libitum senza stacchi intermedi, Suillakku ti afferrava nelle viscere e ti trascinava in un universo lisergico e antico, dove malasorte e spiriti maligni sono tutt'uno con le tempeste di vento e le distese di sabbia a perdita d'occhio. Come si diceva prima, paesaggi della mente che forse ci portiamo dentro, come un'impronta nel DNA a ricordare che i primi grandi contrasti della storia dell'umanità avvennero proprio in questi set primordiali. Alessandro, ancor prima di me, si sentì provato dalla sarabanda sonora. E mi avvertì con un cenno della mano che doveva uscire per non soccombere alla nausea, vomitando sul pavimento la colazione (molto alla Regan, se vogliamo...).  Ebbe tutta la mia comprensione. E da lì a poco lo seguii.  Perché la miscela di suoni aggrediva ogni  senso e il primo a farne le spese era  proprio l'apparato gastrointestinale.  Fu sul serio un'esperienza disturbante che tanto coinvolgeva il soma quanto arricchiva la psiche.
  Ascolta un estratto di Suillakku in mp3     Ascolta un estratto di Suillakku in mp3
Quando fummo fuori dalle sale, ci sentivamo già sicuri sulla produzione a venire di un romanzo a quattro mani in cui un giovane padre Ferraris avrebbe incontrato nell'Iraq dei terminali anni Venti la sua nemesi maligna raffigurata in un gigantesco demone con quattro ali... Una delle tante idee, neppure tanto balzane,  accantonate nel magazzino delle intenzioni, ma con Pazuzu mai dire mai. Citando ancora la Beccaria, con parole che meglio non potrebbero concludere questo nostro breve “volo” sui reami del dio alato, «posta all'ingresso del castello, la statua di Pazuzu, alta circa 6 metri, è volta verso la piazza antistante secondo una posizione che ne ribadisce il ruolo di protezione del luogo. Capace di suscitare fastidio, riso, stupore. Ammirazione o perplessità, come uno specchio pronto a riflettere ciò che più si teme, il Pazuzu di Cuoghi è aperto a interpretazioni molteplici, nelle quali non si fa fatica a ritrovare le proprie paure e debolezze. Immagine ingigantita della superstizione, tramandata da un popolo che all'apogeo della propria civiltà stava per sprofondare sotto le sabbie eterne della storia, la natura metamorfica di Pazuzu sembra voler incarnare anche l'incertezza che caratterizza il presente, in un momento in cui la discesa verso nuovi abissi pare proprio appartenere alla natura del nostro domani.»    
    Profilo dell'autore Danilo Arona: Scrittore, giornalista, saggista, è uno dei maestri della letteratura horror italiana. Ha pubblicato diversi romanzi tra i quali: Ritorno a Bassavilla (Edizioni XII) L'estate di Montebuio, (Gargoyle Books) Santanta (Perdisa), Palo Mayombe 2011 (Kipple), Malapunta (Edizioni XII), Rock I Delitti dell'Uomo Nero (Edizioni della Sera), Bad Vision (Urania-Mondadori), Finis Terrae (Segretissimo Mondadori), La Croce sulle labbra insieme a Edoardo Rosati (Segretissimo Mondadori), Onryo. Avatar di Morte (Urania-Mondadori) antologia curata insieme a Massimo Soumarè. Al suo attivo anche molti racconti, inclusi in diverse antologie (Bad Prisma- Epix Mondadori) articoli e saggi, tra i quali Gli Uccelli di Alfred Hitchcock e L'alba degli Zombie (Gargoyle Books) : http://www.daniloarona.com/
 

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