Errore madornale del comico genovese, ispiratore del Movimento 5 Stelle: durante un comizio-spettacolo a Palermo, si lascia sfuggire un’affermazione vergognosa, lasciando intendere come la Mafia sia meno dannosa di uno stato che strangola i suoi sudditi. Topo Galileo paga lo scotto di non essere un leader, né un oratore: ed i suoi argomenti si esauriscono giorno dopo giorno
Parla di corda, in casa dell’impiccato. Persino questa metafora suscita vergogna nel sottoscritto, consapevole dei fatti di Nuoro e di Napoli, dove un imprenditore ed un lavoratore hanno deciso di togliersi la vita, avendo perso la fiducia in uno stato che prende senza preoccuparsi delle fasce più deboli.
La corda, di cui Beppe Grillo riferisce, è la “Mafia”. Gli impiccati sono ovviamente tutti i siciliani, costretti quotidianamente a fare i conti con una realtà fatta di abusi ed intimidazioni, di “protezioni da pagare” se non vuoi vedere andare in fumo (e non è una metafora) i tuoi sforzi lavorativi. La casa degli impiccati è la Sicilia tutta, ovviamente, e in special modo la città di Palermo dove , il demagogo più in temuto del momento, ha inferto un colpo devastante alla candidatura del giovane Riccardo Nuti, in corsa per la poltrona di Palazzo delle Aquile.
Grillo sbaglia: ha un atteggiamento quasi giustificatorio del fenomeno mafioso, ed esprime il proprio pensiero rimpiangendo i tempi in cui in Sicilia c’era solo la malavita organizzata ad estorcere il denaro ai siciliani. Non si rende conto che, la maggior parte di quei giovani cui fa spesso riferimento nei suoi discorsi, è cresciuta e ha studiato in una terra che ha visto morire i profeti della legalità, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quello stesso mondo giovanile avrebbe potuto segnare in senso positivo l’impegno politico del movimento grillino, qualora il comico non si fosse prodotto in questa pessima battuta. C’è da scommettere che tutti quei ragazzi, spesso uniti nelle manifestazioni contro Cosa Nostra, difficilmente potranno assicurare la propria preferenza a chi parla a favore di “una montagna di merda”.
Un autentico boomerang: proprio quando si stava un po’ ammorbidendo la posizione dell’opinione pubblica sul ruolo di demagogo, il blogger più seguito d’Italia incassa un rinculo spaventoso che lo mette inviso anche a buona parte del potenziale elettorato del Movimento 5 Stelle.
Un gesto incosciente: Grillo non ha ancora deciso se nel prossimo futuro farà il politico o il comico. In entrambi i casi dovrebbe dotarsi di un copione, prima di concedersi a simili esternazioni, degne di Ombretta Colli ospite da Gad Lerner. Non può pretendere di parlare a potenziali elettori con le stesse parole che utilizza nei suoi spettacoli: va bene lo stile divertente ed ironico, va bene la parolaccia qua e là. Va male l’aspetto progettuale, perché una espressione come quella proferita a Palermo è indice di un movimento paragonabile ad un canotto senza remi, che naviga a vista seguendo i vortici e le correnti. Serve progettualità. Sarebbe bastato riconoscere ai siciliani l’onore delle armi nella lotta alla mafia, e dire che chi resiste alla mafia può altresì resistere ad uno stato cravattaro. Povero Grillo: non aveva ben chiara la distinzione tra il dire che i socialisti rubano ed il dedicarsi alla conquista di posizioni istituzionali con le proprie forze e capacità.
E adesso? Sarebbe interessante vedere in che modo una simile affermazione, offerta in un pubblico incontro, abbia modificato le intenzioni di voto dei palermitani. E successivamente, valutare quanti sono ancora in grado di provare disgusto per chi, direttamente o indirettamente, difende la più sanguinaria organizzazione malavitosa che la storia d’Italia ricordi.