Diciamolo subito, la Cambogia ci piace e parecchio; avrei voluto parlarne prima ma un po’ per la mancanza di internet, un po’ per la concomitanza con i mondiali che ci impegnavano le serate e un po’ perchè come al solito non abbiamo voglia di fare una mazza, siamo oramai quasi alla fine del nostro tour cambogiano, così, in questo caldo pomeriggio estivo chiuso in una camera di un albergo che sembra la casa della famiglia addams cercherò di rimediare.
Passiamo la frontiera nel primo pomeriggio di una torrida giornata con un mega temporale all’ orizzonte che incombe su di noi, ci facciamo fregare qualche dollaro alla dogana per il visto, ma tutto sommato facciamo anche abbastanza in fretta ed eccoci dall’ altra parte; nonostante ci sia una terra di nessuno fra le due dogane piena di casinò, si capisce al volo che stiamo entrando in un paese considerevolmente più povero della Thailandia, tutto è più impolverato, i vestiti più stracciati e il caos elevato all’ ennesima potenza.
Ci arrivavano parecchie recensioni non troppo positive del paese e quindi eravamo prevenuti, oltretutto il primissimo impatto non è stato dei migliori visto che, già con l’ acquisto del primo passaggio in bus, abbiamo dovuto sfoderare tutte le nostre armi di dissuasione, compresa la sceneggiata napoletana, per ottenere uno sconto del 50% sul biglietto, anche se credo che il prezzo reale fosse ancora più basso.
Il viaggio è abbastanza lungo e prevede la classica truffa di arrivare a tarda ora in una stazione dei bus fittizia lontana dal centro e dalla quale si è costretti a prendere uno dei famigerati tuk tuk, ma i cambogiani non sanno con chi hanno a che fare, infatti sul bus facciamo amicizia con una coppia di baschi e con una cilena i quali, insieme ai vostri italiani preferiti, formano un’ armata di taccagni latini senza vergogna pronti a dare la vita piuttosto che farsi fregare un dollaro!!
Ovviamente vinciamo noi e si va tutti gratis in città, in cambio accettiamo di soggiornare nella guest house del cugino dell’ autista e mai scelta fu migliore: si da il caso che la guest house in questione veniva inaugurata proprio quel giorno e in concomitanza trasmettono la prima partita dei mondiali, abbiamo così modo di sperimentare l’ ospitalità cambogiana: le solite regole di sfruttamento del turista vengono temporaneamente interrotte e noi ci ritroviamo ad una tavolata di locali (tutti guidatori di tuk tuk ovviamente) davanti ad una televisione, bevendo birra a fiumi gentilmente offerta dal capo. L’ atmosfera è irreale, loro sono già parecchio ubriachi alla seconda lattina e ogni 30 secondi mediamente si brinda a qualcosa e arriva un piatto di cibo, quando poi viene segnato un goal scattano grida e urli da stadio per chiunque abbia segnato (all’ inizio eravamo perplessi visto che giocavano sud africa e messico, poi abbiamo capito che sono malati di scommesse).
festa cambogiana
Diciamo che come inizio non è niente male, mi sono dimenticato di dire che il posto dove ci troviamo è una cittadina abbastanza moderna di nome Siem Reap, un posto che non avrebbe senso di esistere in se, la sua fortuna è di trovarsi qualche kilometro fuori da uno dei più impressionanti e leggendari siti archeologici del mondo: i templi di Angkor.
Le rovine hanno una superficie immensa e per visitarle si possono scegliere diversi mezzi motorizzati fra bus, auto, motorini, tuk tuk; noi, nell’ ottica di una continua decrescita, scegliamo di andarci in bicicletta e anche se il caldo della foresta è una cosa micidiale, devo dire che è il mezzo migliore per godersi pienamente la magia del luogo.
Quello che ti permette la lentezza della bici è di entrare in contatto con la variegata umanità che popola tutta l’ area dei templi, gente che vive in semplici baracche ai bordi della foresta raccattando qualche soldo con la vendita di souvenir e la provvidenziale acqua (non dimentichiamoci le raccomandazioni di studio aperto per combattere la calura estiva).
Ad un primo approccio queste persone possono risultare anche un po’ pesanti visto che non smettono un secondo di chiamarti e pregarti di comprare, con il risultato di creare un rumore di sottofondo di cui si capisce solo “one dollar”, ma se si va oltre questo, e noi lo facciamo, si entra in contatto con una delle popolazioni più belle finora incontrate: una volta che capiscono che siamo squattrinati e che vogliamo solo chiacchierare lasciano perdere la loro mercanzia e via a cercare di intendersi su usi, costumi e ovviamente i mondiali di calcio; i bambini specialmente ci impressionano da quanto sono belli, simpatici e soprattutto intelligenti e poliglotti, ora capiamo perchè Angelina Jolie e Bred Pitt vengono spesso da queste parti a “comprare” qualche nuovo membro della loro famiglia.
si, sono ragni.. e qui la gente ne va ghiotta
amici cambogiani
Trascorriamo 3 caldissimi giorni pedalando fra i templi insieme ai nostri nuovi compagni di viaggio, le rovine sono davvero impressionanti, spesso sembra di trovarsi sul set di Indiana Jones, soprattutto in quei templi dispersi nella giungla e non ancora liberati del tutto.
Infatti il sito di Angkor, un tempo una delle più grandi e maestose città del mondo (si dice che avesse 1 milione di abitanti al tempo in cui Londra ne aveva 50000), venne improvvisamente abbandonato dal potente impero Khmer senza un apparente motivo, forse per l’ esaurimento delle risorse, così immensi templi, città, sofisticati impianti di irrigazione e tutta la splendida arte Khmer che abbellisce ogni costruzione vennero lentamente inghiottiti dall’ implacabile giungla tropicale nel corso dei secoli.
Il risultato è un perfetto mix natural-architettonico dove il terreno un tempo rubato alla natura dagli uomini è stato ripreso dalla natura stessa e successivamente liberato ancora dagli uomini, quello che appare ora sono templi diroccati letteralmente fusi insieme ad alberi e radici, dove regna un misticismo che non assaporavamo dai tempi delle rovine Maya; questa volta la Katia non azzarda nessuna teoria ufologica, ma sono sicuro che in cuor suo sa che gli extraterrestri sono in qualche modo coinvolti anche in questa faccenda archeologica.
Angkor Wat all' alba, si schiattava già di caldo alle 5..
Angkor Thom
architettura naturale
volti dal passato
inghiottiti dalla Natura
Finito il nostro tour ciclistico ad Angkor ci fermiamo ancora qualche giorno in città a riprenderci prima di rimetterci in marcia, questa volta soli visto che i Baschi prenderanno altre strade, e qui entra in gioco la nostra celebre stupidità e disorganizzazione: il piano è di andare a Battambang dove c’è un bel mercato galleggiante e noi ovviamente non compriamo i biglietti perchè certi che tutti i bus aspetteranno sicuramente i due simpatici italiani che amano dormire fino a tardi..
Belli freschi andiamo a cercare un bus alle 11 e veniamo accolti con un “no bus tudei battambang, tumollow eit molning”, noi ci guardiamo come al solito perplessi, completamente sudati per via degli zaini e dei 40 gradi e decidiamo che un giorno in più a Siam Reap è troppo, e, visto che dobbiamo andare nella capitale per organizzare il nostro visto per il Laos, ci accordiamo per un “ma si, saltiamo Battambang, andiamo a Phnom Penh facciamo il visto e ce ne andiamo via subito che non ho voglia di grandi città”.
Ok si va nella capitale, viaggio abbastanza lungo e scomodo con arrivo in città sotto uno delle più grandi alluvioni della storia, con mezzo metro di acqua su tutte le strade, ma a noi “checcefrega” domani facciamo il visto e dopodomani si va sul Mekong, ma poi improvvisamente:
“katia ma che giorno è oggi?”
“venerdi perchè?”
“quindi domani è sabato?”
“si…”
silenzio e sguardi con occhi sgranati di chi sta iniziando a rendersi conto di quanto è pirla..
insieme: “noooooo”
Come avrete già intuito alla fine dovremo stare a Phnom Penh quasi una settimana visto che il week end non si lavora e i laotiani impiegano da lunedi mattina a martedi sera per metterci un adesivo sul passaporto.
Vabbè il tempo non ci manca e approfittiamo per fare un po’ di vita di città la quale non è nemmeno così male come pensavo, anzi è incredibilmente moderna per gli standard cambogiani e qui, più che ogni altro posto in Cambogia, si possono vedere fastidiosissime disparità sociali tipo la Porche che supera un carretto di qualche poveraccio menomato dalla guerra.
Approfittiamo della sosta forzata per goderci gli agi della città: internet gratis, pellegrinaggi in tutte le librerie in cerca dei rarissimi libri in italiano, colazioni a base di croassant quasi veri (grazie francesi per averli importati), e cene indiane. Proprio in una di queste cene ci siamo convinti su una delle nostre prossime destinazioni..
I nostri impegni culturali in città si sono risolti con la visita al terrificante museo del genocidio, la famigerata prigione S-21.
Quella che un tempo era un’ anonima scuola, durante il regime di Pol Pot venne trasformata in uno luogo dove la malvagità umana ha raggiunto i suoi apici: tutto è stato lasciato come quando la città è stata liberata e al suo interno sono stati trovati solo 7 superstiti; camere di tortura, piccolissimi loculi dove venivano detenuti i prigionieri, regolamenti severissimi appesi negli spazi comuni e filo spinato in ogni angolo.
Di diverso rispetto al passato ci sono solo quelli che vengono chiamati i fantasmi della S-21, ovvero centinaia, forse migliaia di foto in bianco e nero appese a tutte le pareti dei volti delle vittime, spettri del passato che sembrano ancora aleggiare in quei lugubri spazi e sembrano fissarti severi tutti insieme, una sensazione bruttissima che ci stringe lo stomaco e che ci ha lasciati un grande senso di tristezza, soprattutto dopo aver iniziato a conoscere questo allegrissimo popolo che ha pochissimo, ma ha un sorriso e una battuta sempre pronti da regalare a chiunque.
le regole del campo
stanza di tortura, il fiore si è appoggiato li casualmente
fantasmi
Noi nel frattempo abbiamo ottenuto il nostro visto (40 dollari a testa, maledetti!!) e siamo pronti a tornare on the road per raggiungere la sonnolenta cittadina di Kratie appisolata sulle sponde del fiume Mekong che, come è stata la Panamericana in Sud America, ci terrà compagnia per parecchi chilometri con le sue placide acque caffelatte.
Lale
p.s.
vi lascio con una chicca: le sigarette in Cambogia non fanno male, i pacchetti non riportano nessuna avvertenza per la salute e quindi anche le pubblicità di sigarette vanno alla grande. di seguito il miglior cartellone pubblicitario di Phnom Penh… occupava un palazzo!! da questo dovrei capire che per arrivare in cima alla montagna mi devo fumare un paio di pacchetti di siga..