Formalmente è una coproduzione, ma andrei un po' oltre le locandine. Appuntamento a Belleville, pur essendo di una purezza linguistica inconsueta in un genere ormai abusato, si muove - e direi si "agita" - come un pastiche. Film assolutamente adulto, astratto, crudele, opera d'arte per chi è venuto su a cartoni animati e nel cartone animato riconosce un filtro per comprendere la realtà, nella sua cattiveria vede convergere il policromo surreale di Fellini, l'estroso sviluppo dinamico dei Monty Python (e, in particolare, di The Meaning of Life), certi tratti di Miyazaki e mille altre forme asimmetriche e sgargianti, ma sempre superbe.
La storia che vi si racconta è quella di un uomo affidato sin da bambino alla nonna, la quale sfrutta la sua passione per la bicicletta per farne un campione del Tour de France, finché due loschi individui non lo rapiscono. L'amorevole vecchietta - ed è quasi banale invitarvi a non fidarvi delle zuccherose apparenze - intraprende il viaggio per recuperare il suo nipotino e arriva fino a una Manhattan - un po' Bronx e un po' New Orleans - trasfigurata in un incubo di Botero dall'orrore dell'indolenza e della malavita.
Io c'ho visto dentro, in controluce, anche quadri di Giovagnoli, ma questo è un problema mio e delle stampe che ho appeso all'entrata di casa mia. L'esito è, nel complesso, straordinariamente francese.
È un film in cui c'è un inseguimento continuo, disperato, delle proprie illusioni, di una meta di cui non si può valutare la consistenza, tanto si è intenti a correre per raggiungerla. È un film in cui c'è la fame, la sofferenza, il sacrificio più assoluto e, senza soluzione di continuità, un'ansia di sopravvivere a se stessi, di superarsi oltre ogni tensione a sperimentarsi. Appuntamento a Belleville di Sylvain Chomet è un film crudele e divertente, cinico fino a far male, una favola che restituisce l'incanto all'immaginazione (molto molto lontano, direbbe Shrek) e la realtà alla nostra vita. Con qualche lacrima in più.