Pelle di serpente. Lo sfruttamento infinito dell’America Latina e delle sue risorse non è un libro che voglia farsi degli amici, è un libro senza sconti. Nel suo ritratto delle dinamiche politiche, sociali e economiche che affliggono l’America Latina non tenta di nascondere le profonde delusioni e amarezze a cui finisce per essere costretto un lettore sensibile. Si potrebbe pensare quindi che è un libro senza speranze e, tuttavia, non è così e non è questa la lettura che prevale. Per trasmettere sia critica che speranza Maurizio Campisi ha messo in piedi un testo in cui fa ricorso al mestiere mai dimenticato di giornalista e alla sua anima di anticonformista.
Il taglio di reportage sul quale prende le mosse si evidenzia nel modo in cui si trattano gli argomenti, uno a uno, apportando dati, testimonianze e descrizioni. Descrizioni che, come quella del fortino della Texaco, ci portano indietro nel tempo fino a quelle scene di degradazione dell’uomo e della natura che ha descritto Vargas Llosa nel suo “Il viaggio del celta” a proposito del Putumayo o lo stesso Eduardo Galeano nel suo “Le vene aperte dell’America Latina” ormai trent’anni fa. Inorridisce pensare che tutta questa strada di lotta non sembra aver prodotto cambiamenti significativi e che quella stessa essenza non solo sopravvive nel cuore dell’America Latina affacciandosi oggi, e basta scorgere la cronaca, anche nel cuore dell’Europa.
Sono descrizioni di fatti che sconvolgono un intero continente, distruggendo l’ambiente e i rapporti sociali, sconquassando la società ed impoverendo gli individui, che possono essere lette come un anticipo, dove l’America Latina viene vista come una triste avanguardia di quanto questa crisi sta portando in Europa, sebbene i segnali vi fossero tutti ben prima del 2008.
L’Europa è ormai nel solco delle deprivazioni, delle privatizzazioni, della distruzione dei rapporti sociali a cui inducono le politiche liberiste. Tutti dobbiamo fronteggiare la privatizzazione delle risorse naturali, l’acqua tra queste, come è già avvenuto nell’altopiano boliviano. Dobbiamo fronteggiare pure la privatizzazione delle risorse intangibili, quali la sanità e l’insegnamento, la cui deprivazione segna purtroppo un rapporto privilegiato con l’esclusione sociale, mentre l’accesso a entrambe rende possibile, certo non da sole, la mobilità sociale. Gli stessi effetti, anche se in misura diversa, possiamo verificarli in America Latina e in Europa. Non è dunque troppo spendere parole per descrivere come e quando le dinamiche dei mercati finiscono per far diventare le regole democratiche deleterie. È questo il passo decisivo verso la confluenza Europa-America Latina.
Lungo i capitoli di questo libro si possono ben tracciare tutti gli elementi della crisi che oggi imperversa, perché non solo si può scorgere e avvertire come la stanchezza s’impossessa dei cittadini e come la politica resta asservita a complicati meccanismi, ma anche come rendono superficiali i compiti dei parlamenti: è un monito che rischia di essere banalizzato dal ritmo incalzante degli avvenimenti e dalla lontananza della società civile rispetto ai nuclei decisionali. Si ritrattano dunque situazioni, problemi e fatti ormai universali e che, col beneficio della distanza che diventa prospettiva, ci è più facile individuare.
Quello che Maurizio Campisi denuncia nelle pagine del libro che ora inizierete, non è solo l’effetto di una globalizzazione che non ha portato il benessere europeo al resto del mondo, ma che, paradossalmente, ma nemmeno tanto, ha portato il terzomondismo in Europa. Globalizzazione che veste i panni delle attività legali quanto di quelle illegali, ambedue con forte impatto sulla popolazione e sull’ambiente. Quello che vi si denuncia è un rinuncia della Sinistra, non una sconfitta, impigliata nell’incapacità di generare un progetto per la società postindustriale, a costruire, o tentare almeno, un’alternativa a queste logiche, sia sul piano dei fatti sia sul piano delle idee e la progettualità, aver rinunciato a una visione globale per risultati momentanei che tuttavia pregiudicano l’insieme e l’esito finale delle medesime e parziali conquiste nel medio e lungo termine.
Non sarebbe leale nascondere i successi della Sinistra dell’America Latina per quanto riguarda l’alfabetizzazione e la diminuzione della povertà, e di fatto questo libro non lo fa. Quello che invece fa è porre in evidenza come questi successi si paghino con sconfitte talmente pesanti sul medio e lungo termine da metterle poi in forse. Non è pensabile che questa fragilità non sia avvertita dai suoi promotori e difensori, ma che si nasconda nel mito del progresso, nell’ipocrisia della crescita, che non sarà per tutti, men che meno per tutti in ugual modo, nella scelta dell’aporia del mal minore.
Quello che fa questo libro è palesare che ormai vi è una generazione delusa dalle costanti rinunce verso il possibile. Una generazione delusa da successi che poi, nel giro di pochi anni, sono polvere tra le mani e non conquiste, patti tradibili dalle forze economiche che hanno spodestato la politica e la società civile dal dominio del bene comune. Il risultato di questo modo di intendere il bilancio delle forze hanno portato anche la Sinistra a diventare una forza politica chiusa e elitaria che si fa scudo della rappresentanza come fondamento della realtà e non come strumento, rinunciando al confronto dialettico con la società e talvolta, sembrerebbe, anche coi fatti. Questa è la critica.
Non resta poi speranza? Tutt’altro. Maurizio Campisi evidenzia come la speranza c’è. Si manifesta nella caparbia costruzione di una diversa visione dello sviluppo e della società. A questa costruzione non mancano gli strumenti teorici, ma prevalgono le pratiche alle letture, le azioni in piccola scala che tentano di costruire un mosaico coerente, mettendo al centro dello sviluppo concetti diversi da quelli dominanti, concetti che nascono nell’era postindustriale e provano a disegnare le strategie utili per gestire una società composta da diversi, eterogenea.
Si evidenzia un’idea, sempre l’idea che questa società per funzionare non ha bisogno dell’omogeneità dei condizionanti economici procedenti da agenti esterni (paesi, gruppi economici, fondi di investimento), non necessità della differenza dei trattamenti e dei risultati secondo gli attori e i ceti sociali.
Quello che si palesa è che, al contrario, le forze più feconde, quelle con una progettualità ri-fondante della società nel suo complesso, procedono dal basso e da molteplici punti, per fondersi in azioni che combinano l’universale con il locale. Quello che questa Sinistra diversa tenta è rifondare il mondo senza rinunciare alla moralità dell’azione politica, senza speculare unicamente sul risultato, fatto che sembrerebbe dare la prevalenza proprio a un’ottica reificante degli individui e delle loro relazioni nonché del mondo stesso.
La speranza c`è, e l´America Latina lo dimostra. Il pericolo anche, un pericolo che vive l’America Latina e che presto potremmo vivere anche noi.