Proprio nella Giornata Internazionale per la Depenalizzazione dell’Aborto, il 28 settembre, la Corte Suprema messicana, il massimo tribunale del paese, ha annullato le speranze di milioni di attivisti e attiviste che da anni lottano per il riconoscimento dei diritti delle donne in America Latina. La Corte ha infatti sancito la costituzionalità della riforma che lo Stato della Bassa California aveva approvato per garantire il diritto alla vita a partire dal momento della concezione. In questo modo diventa un reato perseguibile penalmente qualunque tipo di interruzione della gravidanza e non importano le cause e le condizioni di ogni singolo caso.
Ci volevano 8 voti ma i giudici a favore dell’abrogazione della riforma erano solo 7. Amnisty International ha definito la decisione come un passo indietro per i diritti delle donne e delle ragazze in Messico. Ieri la Corte s’è espressa anche su un’analoga riforma approvata nello stato centrale del San Luis Potosí mantenendola in vigore: si apre quindi la porta a riforme simili che la Corte non potrà mai invalidare dato che non ha una maggioranza di membri a favore e quindi, stato per stato, si potrebbe arrivare alla penalizzazione dell’aborto in tutto il paese. Il voto decisivo è stato emesso dal giudice Jorge Mario Pardo che nel febbraio scorso era stato nominato dal Presidente della Repubblica Felipe Calderón e sostenuto dal suo partito, il conservatore PAN (Partido Acción Nacional).
Ogni governo locale potrà stabilire con il placet della Corte quando si deve fissare l’inizio della vita e quando cominciano ad esistere i diritti costituzionali. Solo a Città del Messico è possibile praticare legalmente l’interruzione di gravidanza che è stata depenalizzata nell’aprile del 2007: la maggiore trasparenza e il diritto all’assistenza medica, seguiti alla legalizzazione, ha avvicinato la capitale del Messico ai tassi di mortalità (quasi nulli) dei paesi che hanno normato e permesso questa pratica.