La prima antologia non era male, anche se un paio di racconti li avevo odiati. Ma con le antologie è così, raramente piacciono tutti i racconti, soprattutto se sono realizzate da parecchi autori. Più sono andata avanti però e più mi sono annoiata, con l’eccezione di un paio di racconti fra cui quello dello stesso Martin. È quel tipo di mondo meraviglioso e fonte di continue sorprese, in cui non sai mai cosa aspettarti, che non fa per me. Io ho bisogno di un mondo più strutturato, in cui le sorprese derivano dalla trama e dai personaggi, non dal fatto che qualcuno tiri fuori una magia sconosciuta o che dal nulla spunti fuori una creatura improbabile di cui nessuno prima sospettava neppure l’esistenza. Giusto per citare un caso in cui non concordo con l’autore che amo.
E un precedente c’è pure con Kay, grandissimo fan di Dorothy Dunnett. Ho letto i primi due romanzi della sua Saga di Niccolò, L’apprendista delle Fiandre e La primavera dell’ariete (a proposito, sono appena andati fuori catalogo. Li ho tolti dallo scaffale la settimana scorsa), e proprio non andiamo d’accordo. L’ambientazione è bella, tutto quel mondo è affascinante. Peccato che Niccolò mi stia fortemente antipatico, e quando odio così un protagonista non riesco a leggere i libri incentrati su di lui. Motivo per cui ho abbandonato pure la saga di Nicholas Eymerich di Valerio Evangelisti dopo il primo romanzo, ma devo smetterla di divagare.
Kay ha elogiato la Lively e mi ha incuriosita. Una possibilità ho deciso di dargliela, cosa che farò con un’altra Penelope che lui ha citato recentemente. Di quest’altra scrittrice però parlerò solo dopo averla letta, e ora sono su Martin. E su Kay, vabbè.
Spiegava, Kay, che era affascinato dal modo in cui la Lively porta avanti la sua storia andando avanti e indietro nel tempo. Il tempo non deve necessariamente essere lineare, può fare parecchi giri su se stesso perché noi non siamo lineari. Questo è un discorso che mi porto avanti da molto, anche se tanto per cambiere ne ho scritto meno di quanto avrei voluto. Perché io riesca a farlo dovrei avere giornate molto più lunghe, ma senza avere come conseguenza l’aumento della mole di lavoro. Per ora non c’è speranza, dubito di poter dilatare il tempo, le bambine sono piccole e la pensione temo che sia un mito irraggiungibile anche se Ilaria ieri sera è riuscita a chiedermi quando sarebbe andata in pensione lei. Confesso di aver deviato il discorso.
Prima o poi mi concentrerò pure su David Gemmell, anche con lui si possono fare discorsi molto interessanti, ma per ora non ne ho il tempo. Comunque io adoro il modo di strutturare i tempi di una storia di Guy Gavriel Kay. Gli avevo pure fatto una domanda in proposito nell’intervista che ho realizzato per FantasyMagazine (http://www.fantasymagazine.it/interviste/20648/i-mondi-fantastici-di-guy-gavriel-kay/), ma lui a quella domanda (e a un’altra) ha preferito non rispondere. Si è scusato per questo senza fornire spiegazioni e io non glie ne ho chieste. Era comunque stato gentile a darmi retta quando avrebbe potuto ignorarmi, e visto quanto è piccolo il suo mercato italiano, con al momento in commercio solo l’ebook della Rinascita di Shen Tai, non è che io possa far aumentare di chissà quanto le sue vendite. C’è gente che in teoria dovrebbe essere molto più interessata ad ascoltarmi, e in questo momento sto pensando a una persona ben precisa di una casa editrice italiana, che non si fa problemi a chiedere le mie opinioni quando gli servono e si limita a ignorarmi quando sono io a scrivergli di mia iniziativa, anche se quelli che fornisco sono commenti che sarebbero utili a lui.
“La cronologia mi irrita. Non c’è cronologia nella mia testa. Sono fatta di una miriade di Claudie che vorticano e si mescolano e si dividono in scintille come il sole sull’acqua. Il mazzo di carte che mi porto dentro si mischia e si rimischia in ogni occasione; non c’è ordine, tutto avviene contemporaneamente.” (pag. 6)
Quale cronologia? Quella di Claudia, e del Mondo. Il punto di partenza è semplice, un’anziana studiosa, bloccata su un letto d’ospedale e probabilmente morente, decide di scrivere le storia della sua vita e contemporaneamente quella del mondo. La seconda in realtà troverà poco spazio in questo libro, anche se alcune parti ci sono. Quella che conta è la prima, vista dagli occhi di un bel po’ di punti di vista spesso non attendibili. Come fa Claudia a dire quello che passa nella testa di chi la circonda? Eppure lo fa, e ci mostra come le stesse cose possano essere percepite in modi molto diversi. È finzione, certo, e lei lo sa. Non per questo se ne resta meno affascinati.
Prima di comprare il romanzo ho dato uno sguardo ai commenti dei lettori su ibs. Semplice curiosità, io compro quel che mi pare senza farmi influenzare dall’opinione dei più. Al massimo ascolto quella di una manciata di amici o di persone che stimo. In linea di massima la Lively viene stroncata, anche se proprio questo romanzo è stato capace di vincere il Booker Prize. Immagino perché, la scrittura è densa ma anche lenta, e chi cerca qualscosa di leggero e scorrevole può sentirsi come impantanato. Ci somo molte frasi, sul tempo ma anche sulle parole o sulla realtà, che meritano una rilettura, una riflessione più attenta. Ma la maschera da libro d’amore tiene lontani molti di coloro che potrebbero apprezzare il libro. Io so di averlo gradito, ma per farlo non bisogna aver fretta. Ci si deve lasciare cullare dalla scrittura, liberare da ogni aspettativa e semplicemente seguire la corrente. Non so se leggerò altri libri della Lively, certo non lo farò ora, ma Incontro in Egitto è stato un bel modo per conoscere qualcosa che è al di fuori dal fantasy.