Oggi ho pianto, lo sguardo su un libro che mi consigliasti proprio tu, tempo fa. Ma tanto non ricordi.
E ho pianto come non mi capitava da tempo, oggi, fra la gente accalcata sul tram, senza vergogna, come fosse la cosa più naturale del mondo, la più bella anche.
Leggendo quelle righe mi sono sentita immersa in un’intimità sconosciuta e così pregna di autentico amore che ho paura di proseguire, di essere delusa.
L’ultima volta che ho pianto così è stato partendo per la Grecia, una volta occultato marito e matrimonio nella pattumiera, come l'ennesimo paio di calze smagliate.
Non avevo consultato nessuna mappa, una nave presa al volo, la prima in partenza da quel porto a sud.
Cosa fai? Adesso mi parli per interposta persona?
Ritieni così pericoloso un contatto fra noi che mi mandi le correzioni tramite Laura? Come se non esistesse la posta elettronica, il fax, un pony express.
Forse sei tu che fino a oggi ti sei difeso da me, dal mio narcisismo, da quella che immagini, pur non conoscendomi, come un’anima confusa e casinista.
O forse no, e questa è la risposta che mi do ogni volta, la sola in grado di far tacere il chiasso che fai nella mia testa: tu non ricordi nemmeno la mia esistenza.
E io piango, invece di sentirmi felice per il posto a sedere conquistato, per la mia faccia che, vuoi o non vuoi, in molti guardano.
Da quando ti conosco non mi hai detto mai una parola gentile, eppure non è passato giorno che non mi vestissi immaginando te sfilarmi gli abiti di dosso, le tue mani gioire sulla mia pelle, le stesse mani che non ho mai osato sfiorare, nemmeno quando avrei potuto, nemmeno quando mi erano così vicine da sentirne la consistenza, l’odore.
E quegli attimi li ricordo tutti come una sconfitta.
Mi spoglieresti lentamente o con furia?
E cosa ti piace di me? E qual è la consistenza delle tue labbra? Che gusto ha la tua bocca? E mi lasceresti andare via o, come ho immaginato mille volte, mi chiuderesti in casa, mi terresti stretta a te rimandando impegni, appuntamenti e lavoro in nome di ciò che solo tu hai, con ferocia quasi, respinto.
Sono certa che le mie domande non ascolteranno mai risposta, perché l’amore che immagino e la passione sul tuo viso trasfigurato trascendono la realtà.
Non ti daresti mai così, non mi diresti mai le parole che io invece ti faccio pronunciare, a voce bassa, mentre misuri il mio corpo con uno sguardo nuovo, mai visto, ma che, da tempo, abita la mia mente.
E ti vedo su di me, pieno di gioia e di stupore, ridere come un bambino, liberato all’improvviso da un’oscura paura.
Che ne sai di quanto amore riverso su di te ogni giorno, ogni istante? Di quanto grande il desiderio di sapere chi sei oltre lo spigoloso cinismo esteriore, quello sguardo così spesso annoiato, il tuo procedere pacato e razionale, ma spesso anche vago, casuale.
In strada, poi, ho pianto di nuovo, ancora, ma faceva così freddo che gli occhi di tutti sembravano piangere. E ho pianto dal salumiere e dal fornaio, ho pianto in vineria davanti al mio bicchiere solitario, ho pianto ancora salendo le scale di casa e poi guardando il lungotevere, la fiumana di automobili incanalate verso una direzione certa.
Io, invece, non ho una direzione e non ha nessuna importanza sapere chi sia Penna Rossa anzi, non dirmelo mai.
Lascia che io viva questa splendida illusione, questa continua ispirazione velata di pianto.
E’ come se, d’improvviso, questa remota possibilità avesse riempito la stanza di tutte le frasi che non ho avuto il coraggio di pronunciare e che adesso urlano, tutte insieme, il tuo nome.
Non so più come fare a liberarmi di te.
Anche quando dormo, ti sogno come non sei, come ti vorrei.
Le briciole che in tanti anni hai lasciato cadere, i pochi indizi che ho raccolto senza farmi vedere, affamata di ogni tuo istante, sono il mio oggetto di studio, le parole che hai lasciato scorrere liberamente, alle mie orecchie sempre chiare, sono la sola cosa che mi rimane di te, l’indicazione, la traccia da seguire, l’unico appiglio per continuare a vivere.
Pepe miagolò un paio di volte.
Marina rilesse l’e mail e la cancellò, senza pensarci più di un istante.
E così le frasi cominciarono a disfarsi e ricomporsi in un monologo infinito e sterile.
In sottofondo, il basso continuo delle auto in fuga e il fischio intonato del bollitore.