Vi confesso: non ho guardato i telegiornali, e nemmeno ascoltato la radio. Non so cosa abbiano mangiato gli italiani a Natale e a Capodanno, né quanti soldi abbiano speso per i regali, né quanti morti o feriti ci siano stati per i botti di fine anno. Ho guardato solo il mio orto – poco, per la verità – e il cielo, che dopo Natale è diventato nuvoloso, e ha nevicato, e dopo è sempre stato azzurro, tant’è che in questi giorni penso già alla primavera.
L’inverno, quando l’orto dorme, è sempre un buon periodo per lasciare riposare la terra, e scavare dentro se stessi, o almeno provarci.
Ho recuperato degli oggetti che da tantissimi anni girano nelle mie stanze, che prendo in mano e poi ripongo in un cassetto o sopra il comodino, ed ho provato a pensare alla loro vita, in rapporto alla mia e in rapporto alla società – sì perché io, senza gli altri, non esisto. Sono come un fonema.
Vi racconterò quindi, per chi ha la pazienza e la voglia di ascoltarmi, i miei pensieri su questi oggetti, ma prima concedetemi una premessa d’obbligo, relativa alla funzione di questi oggetti nella società.
Chi sono io? Un consumatore? Forse. La società così mi definisce. A partire dalla fine degli anni ’50, un po’ alla volta, ma inesorabilmente, siamo diventati – per definizione imposta dalla società dei consumatori. E la nostra società è diventata la società consumistica. Questo era il paradigma dominante. Dovevamo consumare quello che le aziende producevano. Guardatevi qualche pubblicità in bianco e nero di quegli anni. Poi passate alle pubblicità a colori. Il ritornello era sempre lo stesso. Produci > consuma > getta via. Produci > consuma > getta via. Il valore degli oggetti consisteva nella loro deperibilità, nel loro decadimento da funzionante a non funzionante (rotto, consumato). Il costo dello smaltimento dei rifiuti non era calcolato perché il paradigma da seguire era quello di consumare – gettare via – acquistare – consumare – e di nuovo gettare via.
Ho il ricordo di mia nonna, che mi aggiustava i calzini rotti, e di mio nonno che metteva da parte il cartoncino di certi prodotti (quello che oggi molto elegantemente si chiama packaging) per scriverci. Perché buttare via una cosa che comunque può rivelarsi utile per prendere appunti o semplicemente per fare una lista della spesa?
Altri tempi. […]
Poi è arrivato il momento in cui le caratteristiche immateriali di un prodotto hanno superato le sue caratteristiche materiali. A dare nuova forza al consumo un nuovo paradigma in base al quale acquisti il prodotto per far parte di uno stile di vita.
Questo è il potere del marchio e la discorsivizzazione del prodotto – se può interessarvi un approfondimento di queste tematiche vi rimando a questi due brevi articoli che ho scritto: Brand: indagine sul marchio e Lo spazio nella pubblicità.
Ritorniamo a noi. Di quali oggetti vi parlerò nei prossimi post?
Di una cucitrice,
di una sveglia,
e di un iPod.
Archiviato in:Oltre l'orto