lo so che sto ovulando, me lo ha detto la ginecologa ieri. ha tenuto a specificarlo mentre monitorava l'interno del mio basso ventre da uno schermo. così, damblè, senza guardarmi in faccia e con un inconsapevolmente inopportuno sorriso mi ha detto che ieri sera ed oggi avrei potuto concepire. era quasi contenta lei. così ha detto: stasera è la serata buona. ma buona di che, ginecologa?! sono neanche dieci giorni che ho ripreso a respirare dall'apnea di funesti presagi e tu ridi pensando me che concepisco? ma non è sui pensieri pensati durante e dopo questo frangente ginecologico che volevo riflettere. questa è solo la premessa, l'epitaffio, il preambolo necessario a contesualizzare le cose che le mie ovaie partoriranno questa lunga notte. perchè le femmine di ogni specie, quando ovulano pensano con il ventre e non con la mente. quindi, ribadisco, sto ovulando ed è per questa ragione che le lacrime che escono incontrollabilmente dai miei occhi, questa sera, non sono tristezza. la perdita a quei rubinetti che ho al posto degli occhi questa sera è semplicemente una reazione biochimica ad una serie di processi fisiologici che un giorno mi renderanno molto felice. le lacrime che escono per qualunque cosa accada intorno e dentro di me, stasera, non sono segno di alcun significato profondo, sono solo un'alterazione nella produzione di serotonina. i miei pensieri, stasera, non sono veramente miei, ma sono dei miei ormoni.
così arriva quel pensiero che stento a descrivere. quel pensiero che ha il suono di una musica jazz molto triste, l'odore del prato bagnato ed il colore dell'alba. è così che è questo pensiero. ha la consistenza di una carezza, di una carezza dolcissima ed il sapore un po' salato di una lacrima sulle labbra. arriva e prende la forma di un nodo alla gola. è il pensiero dei legami spezzati. è il pensiero di vite che erano una e per qualche ragione che mai nessuno al mondo potrà spiegare diventano due. è il pensiero di uno strappo, di una lacerazione che non si cicatrizza, di quel rumore di fondo che ti fa muovere senza equilibrio, di quella labirintite emotiva che ti rintrona, che ti stordisce, che altera i suoni ed amplifica gli umori. il pensiero di quel fottutissimo destino che non ti destina quello per cui pensavi di essere destinata. è il pensiero del "così doveva andare" e dell'assurdità di farsi entrare una vita di una taglia diversa dalla tua. è il pensiero di un sogno che diventa un incubo, di ricordi che diventano ossessioni, di sensazioni che diventano malesseri e poi, d'improvviso, più nulla. d'improvviso, il vuoto. è il pensiero che c'è un prima ed un dopo e non si può fare diversamente. è il pensiero che non combaceranno mai più quelle metà che erano fuse fino a sembrare indistinguibili; che non c'è nulla di veramente inseparabile al mondo; nè un posto abbastanza lontano dove scappare per difendersi dalle cose che cambiano e dal tempo che passa. è il pensiero che tutto questo va anche affrontato con un sorriso, con la forza e la convinzione che, non potendo morire tutte le mattine, capiterà al massimo di vivere con un pezzetto di cuore in putrefazione. perchè è così che è questo pensiero. è l'odore di un pezzo di carne morta che ti porti dietro per il resto dei giorni che passerai senza quel pezzo di te. è così che è la morte da vivi. è la separazione da quella parte di te che avevi quando eri due. ma non un due qualunque, quel due che è uno. la perdita non di una persona, ma del pezzo di vita che occupava nella tua vita, nelle tue ore, nei tuoi pensieri, nelle tue parole, nelle tue paure. sono i particolari a morire. quelle piccole inutili irragionevoli complicità fatte di dettagli, di sincronismi, di alchimie, di abitudini a due da cui il resto del mondo era e sarà escluso per sempre. è così che è la morte da vivi. arriva quando tutto questo diventa molto meno doloroso. e ti accorgi che hai imparato a vivere lo stesso, con sempre più talento.
fuori continua a piovere. dentro ha smesso.