C'è quello da primo pelo, da primo viaggio che ti resta nel cuore. E ti resta dentro con tenerezza perché tutto ti sembra ancora super, anche un 7eleven nella periferia di Bangkok, perché quello è stato il tuo primo passo in terra straniera.
C'è quello culturale, nel senso che già fa parte della tua cultura personale, e quindi quando vedi la desolata periferia del Jersey non ti sembra nuova perché l'hai già sentita nelle parole di Springsteen. E una strada americana senza fine è solo un passaggio di Strade Blu, che prende vita davanti ai tuoi occhi.
CI sono i colpi di fulmine, quelli che non sai nemmeno tu perché, ma ti stravolgono testa, pancia cuore e tutto il resto, e citando la mia amata Serena Puosi, "il ricordo è sempre struggente", come una di quelle storie d'amore che sono state quasi più un film che un pezzo di vita reale, ma tutto, in quel frangente, con quegli occhi, era diverso. Era speciale.
Ci sono i viaggi nella propria storia personale, e i bar spagnoli che odorano di pareti pregne di fumo, cibo e tapas, fanno correre veloce il ricordo a quando quello era l'odore del Natale al ristorante di mio zio a Granada, e il bracero di mia nonna faceva diventare i pigiami affumicati, ma scaldava le gambe ed il cuore.
E poi, c'è la Colombia.
Tutto è cominciato così, sfogliando un giornale di viaggi, ormai non so nemmeno più quando.
Ma ho ben impressa la sensazione che ne è uscita.
Calore.
Dalle foto dalle tinte gialle delle strade della città vecchia di Cartagena che fa il verso alla Colombia più vera, è uscito un seme che si è piantato nel terreno già fertile della mia voglia di viaggiare.
E' rimasto lì, in incubatrice, sotto il terriccio, con piantati intorno grandi orchidee thailandesi e sequoie statunitensi.
E in questi casi mi viene sempre in mente un detto che mi porto sempre dietro come un mantra, per portare un po' di equilibrio nei pensieri e nei desideri, che viaggiano spessi più veloci dei piedi.
"stai attenta a cosa desideri, perché potrebbe realizzarsi"E così, complici amici che andavano in Florida e che ci hanno gentilmente ospitati, l'American Airlines che ormai è diventata la Ryanair dei voli intercontinentali e la Spirit che volava su Cartagena... Siamo partiti.
La verità è che avevo paura.
Paura che quello che si legge sui giornali, nei libri di Saviano e nei pochi articoli che trattano di questo paese, fosse qualcosa all'ordine del giorno, visibile. Tangibile.
SI parla di guerriglia, coca, armi, rapimenti, ferocia.
E invece.
Due dolci signore che preparano ceviche, una guida appassionata che racconta la sua Miniera di Sale, una premurosa donna che gestiva un ostello che mi costringe ad andare in farmacia mentre sto male, un giornalista che ama così profondamente la sua terra da farmi vergognare di quanto poco amo la mia.
La Colombia è bella, varia, con foreste tropicali e montagne che assomigliano alle nostre, dove la musica è perenne e anche la frutta, molta della quale sconosciuta, ha anch'essa un suono musicale.
Il lulo, per esempio. Si frulla ed è buonissimo, e il suo nome fa già da accompagnamento.
La Colombia è un amore adulto, di quelli ponderati.
Ne ho voluto parlare alla fine per averne un'idea complessiva, per rendermi conto che poi, quello che abbiamo visto, è solo una piccola parte di quel mondo.
E l'amore maturo si sente in questo, nell'aver assimilato dettagli, nell'averli gustati e vissuti, nell'averne fatto tesoro con la certezza che il bello deve ancora venire.
In Colombia parti con la paura e torni con la pelle dorata dal sole caldo e l'arrequipe (il dulce de leche qui si chiama così) che ti scorre nelle vene, impari cosa significa quel "chévere" che ripetono con entusiasmo.
E' un po' come dire "uao, fantastico, well done", e io l'ho scoperto ancora prima di atterrare a Cartagena dal mio vicino di posto in aereo che andava a trovare la nonna che ormai, "cominciava ad essere vecchietta" e quindi era bene passare un po' di tempo con lei.
110 anni.
Me lo sono fatta ripetere tre volte. Centodieci.
O hanno l'acqua buona o i colombiani hanno proprio la pelle dura.
Il turismo c'è, di tutti i tipi: lusso, avventura, relax. Ma se esci dalle rotte - non di molto, solo qualche passo - l'esperienza colombiana perde le tinte da cartolina della città vecchia di Cartagena e si colora di bianco, di calce, di grigi luminosi dei ciottoli delle strade che ancora fanno rimbombare il suono degli zoccoli dei cavalli. E tutto cambia.
Abbiamo scelto di viaggiare via terra da Cartagena a Bogotà per guardare fuori dal finestrino il paesaggio cambiare (e in 35 ore di bus spalmate su 12 giorni, cambiano, eccome), abituarci lentamente al respiro che si affatica mentre si arriva nella capitale a 2650 m, rallentare forzatamente un passo che nel viaggiare moderno è diventato troppo rapido, immediato ed accessibile.
Perché la Colombia non è immediata, ma è accessibile, se si parte con il cuore adeguatamente pronto a tanta generosità della natura e umana.
E il premio finale, è bellissimo.
E' stato un viaggio intenso, e ne voglio parlare passo a passo, ma prima volevo mettere nero su bianco la sensazione di vita vera e "ardiente" che mi ha lasciato sulla pelle.
Chiudo gli occhi, la musica suona ancora.
Vieni con me?