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Pensierimadyur classic 21-9-2009: essere sicario dei narcotrafficanti in messico

Creato il 25 ottobre 2010 da Madyur

ESSERE SICARIO NELLA CAPITALE MESSICANA DELLA DROGA : CIUDAD JUAREZ

A Ciudad Juarez un altro cronista di nera viene ucciso , nella sua auto accanto alla figlia di 8 anni. La città è sempre colpita dalla delinquenza , dovuta al traffico di droga con gli Stati Uniti. Ci sono molti uomini che sono entrati nei ranghi dei trafficanti: per vivere , per mangiare e a volte per sopravvivere. Tra questi c’è un sicario , che ha deciso di raccontare la sua storia .

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Parla con orgoglio del suo lavoro. I bravi sicari non sparano a raffica contro l’auto, colpiscono con precisione lo sportello e raggiungono il petto della persona alla guida. Il cronista morto era stato ucciso da una scarica come questa : dieci colpi di una calibro 9. E nemmeno uno ha sfiorato la figlia di 8 anni.

L’uomo racconta tutto da una stanza in un motel , in pubblico potrebbe rischiare la vita. Il giornalista mostra la foto di una donna al sicario. Un rivolo di sangue le scorre dalle labbra ,e la luce del primo mattino le carezza il viso. L’uomo racconta che quella era la ragazza del capo dei sicario di Ciudad Juarez, e i boss del cartello pensavano che parlasse troppo. Non aveva spifferato nulla. Semplicemente parlava troppo. Avevano detto al suo ragazzo di ucciderla e lui lo aveva fatto.

Ad Amado e Vincente bastava il minimo sospetto per ucciderti” dice. Sono due fratelli che in momenti diversi hanno guidato il cartello di Ciudad Juarez. Si è in un paese dove le persone vengono ammazzate per un capriccio e una bella donna viene trovata morta nel fango e poi avvolta da spiegazioni che non hanno un vero rapporto con quello che è successo. Il sicario non vuole apparire, non vi accorgeresti mai di lui. Statura media , vestito come un operaio con le scarpe grosse e un berretto di maglia. Il volto è inespressivo , la voce forte ma piatta. “Ciudad Juarez è un cimitero” dice “Ho scavato la tomba a 250 cadaveri”. La città è piena di tombe segrete. Persone calate in una fossa nelle case della morte. Le autorità hanno scoperto uno scheletro : si è scoperto che aveva 25 anni. E’ un altro dell’esercito dei morti di Ciudad Juarez.

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Alla domanda come è diventato sicario , traccia cinque righe verticali e negli spazi scrive: infanzia , polizia , narcos, Dio. Le quattro fasi della sua vita. “Quando ho cominciato a credere nel Signore, sono fuggito dai morti” dice. E nega ogni diktat che la violenza arriva a causa degli abusi avuti da bambini “Ho avuto un’infanzia normale” ripete. La sua famiglia si è trasferita nel sud della frontiera. La gente andava a lavorare nelle maquilas , le fabbriche usate dalle aziende straniere. Il sicario è andato all’università . Non ha avuto un padre che lo maltrattava. Il padre lavorava lavorava di notte per sei giorni alla settimana. La madre lavorava come domestica a El Paso per tre giorni alla settimana. Aveva dodici bambini da sfamare. Erano poveri. L’uomo è diventato sicario perché era un modo di vivere, non per trauma.

Al liceo venne assunto dalla polizia insieme ai suoi amici. 50 dollari per portare delle auto oltre il ponte che va El Paso , parcheggiarle e andarsene. Non fanno domande. Dopo la consegna vanno in motel dove abbondano donne e cocaina. Lascia l’università perché non ha soldi. Allora i poliziotti, corrotti, li contattano e li mandano all’accademia di polizia. Per farlo ammettere all’accademia deve intervenire il sindaco di Ciudad Juarez, lui ha solo 17 anni.

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Quando eravamo cadetti ci davano 150 pesos al mese( 11 dollari) . Ma avevamo un extra di mille dollari al mese che arrivava da El Paso. Ogni giorno in accademia arrivavano droghe e alcolici per feste. Il fine settimana corrompevano le guardie e andavano a El Paso. Mi mandarono alla scuola dell’FBI negli Stati Uniti e mi insegnarono come scoprire narcotici , armi e auto rubate. La formazione era ottima” dice. Le autorità statunitensi insistettero perché al sicario venne assegnato un posto di comando. E lo ottenne “Comandavo otto uomini . Due erano bravi e onesti. Gli altri sei erano nel giro della droga e dei rapimenti”. Due squadre lavoravano a Ciudad.Il compito della sua squadra era di impedire i rapimenti. In realtà una squadra eseguiva i sequestri e l’altra uccideva gli ostaggi.

Nel 1997 morì il capo del cartello di Ciudad Juarez Amado Carrillo Fuentes. L’equilibrio è andato a pezzi. I pagamenti che arrivavano alla polizia da un conto degli Stati Uniti si sono interrotti. “Non saprei dire come e quando sono diventato un sicario “dichiara “I primi tempi prelevavo le persone e le consegnavo ai killer. Poi cominciai ad uccidere. Guadagnavo anche 20 mila dollari con un omicidio”. Prima della morte di Carrillo era difficile procurarsi la cocaina a Ciudad Juarez perché “ se aprivi un pacco da un chilo eri morto”. Con la morte del boss è tutto cambiato. Era diventato dipendente della cocaina, anfetamine e alcool. E nello stesso tempo era diventato specializzato : strangolamento, omicidio con armi da taglio , tortura, sequestro e semplice sparizione seguita da sepoltura in una fossa.

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Ricorda di Oropeza , un medico che teneva una rubrica su un giornale. Aveva parlato dei rapporti tra polizia e mondo della droga. Fu accoltellato nel suo ufficio nel 1991 “Quelli che l’hanno ucciso mi hanno insegnato come si fa. Sicari non si nasce, si diventa”. “Non siamo dei mostri . Abbiamo un’istruzione , abbiamo dei sentimenti. Io smettevo di torturare qualcuno, andavo a casa e cenavo con la mia famiglia, poi tornavo. Spegni una parte del cervello. E’ una specie di lavoro, esegui gli ordini” insiste.

Ora ha lasciato quella vita , ben due anni fa. Naturalmente deve far attenzione , l’organizzazione ha messo una taglia di 250 mila dollari sulla sua testa. “Non faccio più cose brutte” dice “ ma , non posso fare a meno di stare attento. E’ così che mi difendo. Mi hanno già ucciso due volte , sai”. Ha due fori di proiettile ,dovuti a kalashnikov ,sulla pancia. L’organizzazione credeva che avesse passato delle informazioni sull’omicidio di un giornalista , ma si è scoperto che il vero informatore era stato il tizio pagato per mettere sotto controllo il telefono. Così si scusarono “ Si sono scusati e mi hanno pagato un mese di vacanza a Mazatlan con donne , droga e alcool. Avevo 24 anni”.

Alla polizia non importava se eri ubriaco. Quando volevi essere lasciato in pace , davi un centinaio di pesos a chi distribuiva gli incarichi e per un po’ non ti chiamavano”. Partecipa ai sequestri, viaggia per tutto il Messico. “Ci dicevano . Prendete quel tizio “ Ha preso 200 chili di marijuana e non ha pagato”. Io lo prelevavo con la macchina e lo lasciavo in un posto sicuro. Qualche ora dopo ricevevo una telefonata e mi dicevano che c’era un cadavere da far sparire. Per tre anni ho viaggiato per tutto il Messico. Avevo sempre un’auto ufficiale della polizia. Per superare i posti di blocco mostravamo un’autorizzazione per trasportare un prigioniero. L’organizzazione aveva un numero di protocollo falso”.

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Non fanno quasi mai i poliziotti: lavorava a tempo pieno per i narcos. Per vent’anni è il suo mondo. Viveva in un Messico che ufficialmente non esisteva e coesisteva pacificamente con quello del governo. Nessuno interferisce nei suoi trasporti di esseri umani come la schiavitù, la tortura e la morte. Lui fa parte della polizia, con 8 uomini al suo comando. Ma il suo datore di lavoro è il cartello di Ciudad de Juarez. Gli danno una casa , uno stipendio, una macchina. E una posizione. Secondo lui l’85% della polizia lavorava per l’organizzazione.

In ogni nascondiglio c’erano tra i 5 ai 15 ostaggi. Erano sempre bendati. Se la benda cadeva venivano uccisi. A volte li mettevano senza benda davanti alla tv per fargli vedere i bambini che andavano a scuola ,la moglie che faceva la spesa, o la famiglia in chiesa. Se non tiravano i soldi potevano non rivedere quel mondo. I vicini di casa non si lamentavano mai. Agli ostaggi potevano chiedere anche un milione. I sequestrati potevano rimanere prigionieri anche per due anni. Dopo mangiato li picchiavano , così associavano dolore e cibo. Il prigioniero molto raramente veniva liberato. “A volte dopo mesi di prigionia potevano togliersi la benda per fare le pulizie nella casa. Dopo un po’ cominciavano a credere di far parte dell’organizzazione , e si identificavano con i guardiani che li picchiavano. Inventavano persino delle canzoni sulla loro esperienza di prigionieri e ci parlavano di tutte le belle cose che ci avrebbero regalato al loro rilascio. A volte dopo averli pestati mandavamo alle famiglia dei video in cui imploravano “dategli tutto”. Poi arrivava l’ordine e venivano uccisi” ricorda. Il riscatto veniva pagato in una città diversa da quella dove si trovava l’ostaggio. Anche se i familiari pagavano quasi sempre , l’ostaggio veniva ucciso. Gli avevano tolto tutto , e la sua vita era niente. Inoltre poteva tradire l’organizzazione, quindi ucciderli era logico e inevitabile.

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“Voglio che sia chiaro che avevo dei sentimenti quando dovevo torturare la gente che rotolava nel vomito e nel sangue. Non avevo il permesso di aiutarli” resta calmo mentre lo dice. “Bisogna sapere fino a quando ti puoi spingere. Non puoi picchiare troppo i prigionieri perché perdono la sensibilità al dolore. Ho visto persone così massacrate che potevi strappargli le unghie con le pinze e non se ne accorgevano neppure. Gli ammanetti le braccia dietro la schiena , li fai sedere davanti a una lampadina da 100 watt e fai domande sul loro lavoro , sul numero e sull’età dei figli, tutte cose che sai già. Ogni volta che non dicono la verità gli dai una scossa elettrica. Quando si rendono conto che non possono mentire fai le domande vere: quanti carichi hanno portato negli Stati Uniti , per chi lavoravano e perché non pagano. A quel punto decidono di rispondere a tutto. Allora li picchi e li fai riposare. Li costringi a guardare i video della famiglia. Ormai sono pronti a tirare fuori tutto quello che vuoi sapere e anche di più. A quel punto sei in vantaggio: usi queste nuove informazioni per attaccare i depositi , rubare i carichi, e sequestrare altra gente con cui lavorano, poi riprendi le loro famiglie e tutto ricomincia da capo. Nessuno andrà alla polizia perché i familiari sanno che chi è stato rapito ha degli affari sporchi da nascondere. Ma anche se lo dicono alla polizia tu lo vieni a sapere perché lavori con la polizia . A volte gli ostaggi vengono uccisi subito perché dopo che hai perso le macchine e i gioielli non valgono niente.”spiega

Non sopporta la gente a cui piace uccidere. “Ci sono uomini che dicono “E’ una settimana che non ammazzo nessuno”. Allora escono e lo fanno. Questa gente non ha niente a che fare con il crimine organizzato. Sono pazzi. Se scopri uno così nella tua unità , lo fai fuori. I migliori sono i poliziotti e gli ex poliziotti : sicari addestrati”.

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A Ciudad Juarez ora c’è un massacro in corso , opera di dilettanti e di bambini che imitano i sicari. Sono troppi gli omicidi e sembra spaventoso il numero di pallottole usate per ogni esecuzione. Un vero sicario non uccide bambini e donne. A meno che le donne non siano informatori della Dea o dell’FBI. “Ci vorrebbe un libro per parlare della case della morte. So dove sono sepolti 600 corpi nei nascondigli di Ciudad Juarez. C’è una casa della morte che non hanno mai scoperto dove sono sepolti 56 cadaveri . C’è un rancho dove le autorità dicono di aver trovato due corpi , ma io so che ce ne sono 32. Se la polizia indagasse veramente li troverebbe. Ma ovviamente non ci si può fidare della polizia”.

I narcos hanno informatori alla Dea e all’FBI. Lavorano finché non diventano inutili. Poi vengono uccisi. Fanno una brutta morte” spiega “Due di quegli informatori furono portati con le braccia ammanettate dietro la schiena nella casa della morte dove furono trovati 36 cadaveri. Inzupparono una maglietta di benzina e gliela gettarono sulla schiena , la incendiarono e dopo un po’ gliela tolsero. Venne via anche la pelle. I due uomini facevano dei versi come quando si ammazzano gli animali. Gli iniettarono della droga per tenerli svegli e non farli svenire. Poi gli versarono dell’alcol sui testicoli e dettero fuoco. Facevano certi salti..erano ammanettati , eppure non ho mai visto nessuno saltare in quel modo” racconta. “Avevano la schiena che sembrava di cuoio e non sanguinava. Gli misero dei sacchetti di plastica sulla testa per soffocarli e poi li rianimarono con dell’alcool sotto il naso. L’unica cosa che ci dicevano era “Ci rivedremo all’inferno”. Andò avanti così per tre giorni. Puzzavano in modo terribile per via delle bruciature. Portarono un dottore per rianimarli. Volevano che vivessero ancora un giorno. Dopo un po' defecavano sangue. Gli infilarono dei manici di scopa nel culo. Il secondo giorno qualcuno disse “Vi avevo avvertiti che sarebbe successo”. Loro risposero “Uccideteci”. Vissero tre giorni. Il dottore continuava a fare iniezioni per tenerli in vita , e doveva lavorare sodo. Non hanno mai pregato di aiutarli. Però continuavano a ripetere “Ci rivedremo all’inferno”. “ Li seppellii a faccia in giù e li ricoprii di calce” ricorda ancora.

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Nel 2006 lo sequestrano, ma lo lasciano andare dopo un’ora. E’ sconvolto, si chiede come uscire da quella vita. Cerca di sparire un po’ alla volta, anche con la guerra in atto a Ciudad Juarez. Prende distanza da i due cartelli. Un terzo delle persone che conosceva sono morte. Le strade sono troppo pericolose, troppa gente nuova in città Lo sequestrano di nuovo. Quattro uomini lo portano in un nascondiglio , gli tolgono i vestiti tranne le mutande. Stringono in mano della palle da biliardo e lo pestano. Ma capisce che sono dilettanti. Non lo ammanettano. Gli puntano i fucili addosso. “Mi rendevo conto che potevo ammazzarli tutti “ lo dice ridendo. Un sequestratore lo aiuta , gli doveva un favore. Senza scarpe e senza vestiti scappa.

Dio mi ha salvato. Mi sono pentito. Devi scriverlo in modo che altri sicari sappiano che è possibile andarsene. Devono sapere che Dio può aiutarli. Non sono mostri. Mi piaceva il potere. Eppure anche se Dio mi ha liberato, sono rimasto un lupo. Non posso diventare un agnello. Sono ancora una persona terribile , ma ora ho Dio al mio fianco” conclude.

Pubblicato da MADYUR a lunedì, settembre 21, 2009

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