Se fossimo solo corpo, solo materia, se fossimo solo figli del Divenire l’esigenza di un’etica, cioè di qualcosa che guidi e governi questa materia, risulterebbe assurda, inconcepibile. Dovremmo solo e puramente vivere, la natura ci insegnerebbe tutto senza insegnarci niente, essendo puramente natura noi stessi. L’unico panteista possibile e l’unico Superuomo possibile è l’animale, che riesce a vivere perfettamente il presente e che non muore mai perché muore senza conoscere la morte: nessun uomo potrà raggiungere la sua perfezione. Il Divenire è l’Essere dell’animale: ecco l’Eden. Se noi invece sentiamo il bisogno di regole di comportamento significa che la nostra vera natura è diversa (in quanto superiore, non perché la materia sia intrinsecamente malvagia). L’etica può esistere solo quando esiste un rapporto tra due realtà, una convivenza tra due nature, o, per meglio dire, tra due stati di natura. Altrimenti non ha senso. Come non avrà senso quando saremo riassorbiti, insieme alla Creazione, nell’Essere: lì vivremo compiutamente la nostra vera natura in un corpo divino che fonderà finalmente l’anima col corpo; lì, nell’eterno, troveremo quel presente che oggi ci sfugge tra le mani, e lì troveremo, senza annullarci, la nostra pienezza nella comunità; questo è l’unico panteismo o immanentismo possibile per l’uomo. Dio è l’Essere dell’uomo: ecco il Regno di Dio. Qualcuno dirà che l’etica è un prodotto della cultura, della storia, della civiltà. Ma la cultura e la civiltà esistono proprio perché l’uomo soffre, perché l’uomo non riesce a vivere come un animale su questa terra. La sua capacità di speculazione, fonte della sua capacità di operare e costruire, nasce, come l’etica, dal rapporto tra due realtà, come detto sopra, dalla convivenza tra due stati di natura. Se fosse figlio del Divenire, il suo cervello girerebbe a vuoto: solo specchiandosi nell’Essere può speculare. Anche l’animale, a suo modo, è in grado di fare il confronto tra due cose; anche l’animale, a suo modo, conosce il comparativo di maggioranza; ma solo l’uomo conosce il superlativo assoluto: è il suo modo di proiettare, anche a livello inconscio, la sua sofferenza esistenziale, cioè la sua partecipazione all’Essere, sulle cose. Solo opponendo l’ideale al reale può speculare e modificare il reale.
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