Ed invece si deve riconoscere che non è con l'austerità che si risolve la crisi economica ma piuttosto la si aggrava, non è con la liberalizzazione del mercato del lavoro e la riduzione dei salari che si favorisce la crescita ma al contrario la si impedisce, non è il debito pubblico all'origine dell'innalzamento dello spread ma altri fattori quali il disavanzo della bilancia commerciale, le modalità di finanziamento degli Stati attraverso il ricorso ai mercati, l'inadeguata architettura dell'euro ed il ruolo insufficiente attribuito alla BCE, l'aggressione speculativa all'euro quale elemento della strategia degli Stati Uniti volta a perpetuare il proprio dominio imperialista sul mondo. Ne è la controprova il fatto che Paesi con un elevato debito pubblico, sia in termini assoluti che in rapporto al PIL, come Giappone, Stati Uniti, Gran Bretagna, Belgio sono rimasti indenni dalla speculazione mentre altri con un ben più ridotto rapporto debito pubblico/PIL, come Spagna e Irlanda, sono precipitati nel vortice dell'aumento dello spread fino ad arrivare sull'orlo del baratro del default. Ha ragione dunque Paolo Ferrero quando afferma che lo spread è usato anche come strumento per seminare il panico e come arma di ricatto nei confronti dei cittadini per far accettare le politiche anti-sociali e la svendita del patrimonio pubblico. Basta ripensare alle privatizzazioni degli anni novanta (dell'IRI, della Telecom, delle Banche, di quote azionarie dell'ENEL, dell'ENI, delle public utilities) per comprenderne gli effetti fallimentari sia in termini della riduzione del debito pubblico che per quanto attiene la capacità industriale e gli asset strategici a disposizione del nostro Paese. Basta evidenziare che tra gli attuali fautori e promotori delle privatizzazioni (Amato, Draghi, Bassanini) vi sono alcuni degli stessi protagonisti della deleteria svendita del patrimonio pubblico di quegli anni. Rinunciare oggi anche alle residue proprietà pubbliche di ENI, ENEL, Finmeccanica, Poste, aziende locali di servizi, del patrimonio immobiliare e dei beni demaniali significa ulteriormente e irrimediabilmente impoverire il nostro Paese, rinunciare ad opportunità di creare ricchezza, reddito, qualità della vita per la collettività nei campi della cultura, del turismo, dell'agricoltura, dell'edilizia popolare, privarsi di indispensabili strumenti di governo in settori fondamentali dell'economia e per l'indipendenza nazionale quali quelli dell'energia e della politica industriale. A fronte di improbabili e irrealizzabili stime di incasso (400 miliardi di euro) ipotizzate per la vendita del patrimonio pubblico, ci troveremo di fronte l'ennesima opportunità di arricchimento a spese dell'interesse e del bene pubblico offerta a speculatori e faccendieri con la complicità ed il contestuale profitto della casta politica. E realizzerà il vero mandato di Monti di liquidare per conto terzi le residue speranze dell'Italia di diventare un Paese più giusto, più forte e più ricco.
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