Uno studio pubblicato su The Journal of Economic Perspectives suggerisce che le persone che vanno in pensione prima presentano un declino più rapido delle funzionalità cognitive in generale e della memoria in particolare.
Acqua calda direte voi. Lo penso anche io. Ma gli autori ritengono che questo studio dia un sostegno scientifico a una convinzione diffusa, ma difficile da dimostrare.
E se invece fosse vero il contrario? Cioè che le persone che mostrano un deficit della memoria e delle abilità cognitive si ritirano dal lavoro prima di coloro che continuano a rimanere efficienti da questo punto di vista?
In ogni caso, lo studio ha arruolato decine di migliaia di persone sia statunitensi che europee e l’analisi dei dati tiene conto della loro età, indipendentemente dall’età di pensionamento stabilita per legge in ciascun paese. Per esempio, tra gli intervistati poco più che sessantenni, continuano a lavorare il 65-70% degli Statunitensi e dei Danesi, il 38% degli Spagnoli e il 10-20% dei Francesi e degli Italiani.
Ma anche fosse vero, qual è la causa di tutto ciò? Il coinvolgimento e le interazioni sociali? Oppure le stimolazioni cognitive che si ricevano lavorando? O addirittura la componente aerobica dell’attività lavorativa? O semplicemente il fatto che, dovendo lavorare, le persone non si piazzano 24 ore al giorno, tutti i giorni, davanti al televisore che progressivamente divora ogni neurone e distrugge ogni capacità di giudizio?