Nella sentenza n. 70/2015, si legge: "L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.".
Secondo l'UNC, al di là dell'impatto sui conti pubblici che ora questa sentenza potrebbe produrre (le prime stime fluttuano tra 5 miliardi e 10 miliardi), le motivazioni sono ineccepibili e condivisibili. Oltre ad essere iniquo non rivalutare pensioni da 1.400 euro lorde, come se si trattasse di anziani benestanti, si tratta di una scelta economica sbagliata, che va nella direzione opposta rispetto a quella che si dovrebbe seguire per uscire da una crisi di consumi come quella attuale, ridando capacità di spesa alle famiglie. Il blocco delle pensioni, così come quello degli stipendi del pubblico impiego, saranno certo serviti nel breve periodo a fare cassa, ma non certo a rimuovere le cause della crisi italiana: il 40% degli italiani fatica ad arrivare alla fine del mese.
Autore: Unione Nazionale Consumatori