Per chi suona la campanella della Scuola Holden

Da Sulromanzo

Ho frequentato la Scuola Holden di Alessandro Baricco (detto Alessandro Straricco: non so se soltanto a Torino, ma ormai con il web una cosa detta a Torino è detta anche a Chacabuco – toh, andate su google), l’ho frequentata da palestrato e non da masterizzato, che forse è un po’ come dire ex carabiniere avendo fatto l’anno di leva e non almeno dieci da ufficiale superiore.

È il settembre di qualche anno fa e per il compleanno ricevo una busta, dentro c’è una specie di voucher che certifica la mia iscrizione ai corsi denominati Palestra Holden per l’anno accademico che sta per iniziare.

Oh, grazie fidanzata, grazie amici, ma quanto avete speso?! Mi avete regalato il corso di un anno alla Holden che costa un ciulo?!

Scopro che non costa così tanto: ci sono i contributi regionali e la scuola può tenere un prezzo accessibile, alla portata di qualunque impiegato del catasto che decida di consumare, nel suo hobby preferito, mi pare se non ricordo male sui 330 euro annui.

E scopro com’è organizzata la scuola (situazione aggiornata all’autunno 2008/primavera 2009).

C’è il master biennale full time, che occupa gli studenti tutto il giorno per entrambi gli anni, costa parecchio e rilascia un titolo che non ha alcun valore legale ma dona professionalità e, diciamolo (cit.), contatti.

C’è la palestra, che occupa gli studenti parecchi giorni la settimana dalle 19 alle 21 e funziona così: ti puoi iscrivere ai corsi Palestra Cinema o ai corsi Palestra Scrittura, io mi iscrivo a Scrittura (grazie fidanzata, grazie amici) e ho diritto a seguire le lezioni teoriche ma non i laboratori della Palestra Cinema; ho diritto a seguire le lezioni teoriche e pratiche della Scrittura; le lezioni che innumerevoli la scuola propone al pubblico pagante estraneo al master e alla palestra, cicli di serate a tema (es: il romanzo; scrivere un giallo; scrivere di sé; la narrativa italiana contemporanea; eccetera) e serate monografiche (iniziammo con un tributo a DFW – David Foster Wallace – appena suicidatosi); in più libero accesso alla biblioteca (un’ampia sala, con un numero sufficiente di titoli), in più il collegamento internet wi-fi in tutta la scuola (ovvio arriva anche in strada, ho provato dall’auto).

Baricco è il preside e noi siamo gli studenti, la riunione tra i docenti è per concordare il programma, insomma le parole sono importanti (cit.) ovunque, vuoi che non lo siano alla Holden?

Dico alla mia fidanzata: lo sai che volendo posso esser via quattro sere a settimana, spesso anche cinque? La cosa non le dispiace, io tuttavia lo dicevo per evidenziare la grande offerta formativa.

L’obiettivo finale è: alla fine del corso avrete imparato a scrivere un racconto (decente).

Decente l’ho aggiunto io.

Perché, lo sapete, dopo l’uovo e la gallina il secondo dilemma della storia è: si può insegnare a scrivere?

Il mio amico –  uno all’oscuro del regalo, che non aveva partecipato alla colletta, che di mestiere fa il giornalista – quando gli dico dei corsi che avrei iniziato fa: Umph…, e l’onomatopea, conoscendolo, la traduco così: sei finito in quella rete di mangiasoldi, ti sei fatto fregare.

Io che sono di origine contadina penso questo: non puoi avere del vino dalle rape, tuttavia se possiedi uve buone ma sei scarsino in cantina, un buon enologo senz’altro ti aiuta a migliorare il prodotto.

E comunque lo dicono anche i docenti nelle lezioni introduttive: qui non si fabbricano vincitori di premi letterari, qui si insegnano tecniche, si destrutturano e ricompongono i racconti, perché le tecniche di narrazione si imparano e sono indispensabili per chiunque voglia migliorare la sua scrittura. E se tra di voi c’è qualche supertalento…beh qualcosa da insegnare ce l’abbiamo anche per lui.

Appena incominciano i corsi osservo il pubblico, cioè chi sono gli studenti della palestra: statisticamente non è altro che un gruppo di persone eterogeneo per sesso, classe sociale, età, ecc. ecc. con l’interesse comune per la scrittura e per la lettura, tuttavia non tutti quelli che si sono iscritti hanno l’ambizione di vincere di lì a due anni lo Strega. Sono perlopiù grafomani, certo, ma non è raro trovare persone che dicono: spero, imparando le tecniche di narrazione, di diventare un lettore migliore. Molti meno di quanto mi aspettassi, poi, quelli che si ritengono geni non compresi dal mondo delle lettere e boicottati dai poteri forti delle case editrici: i pochi di cui ho avuto percezione dissimulano bene, la maggior parte degli studenti è invece gente umile che indubbiamente ci crede senza tuttavia perdere il contatto con la superficie terrestre.

Quindi: prime settimane in sessanta/settanta, a volte più, a seguire le lezioni teoriche, e poi a dicembre incominciano i laboratori.

Il laboratorio funziona così: cinque docenti, cinque classi di una decina di studenti, due ore la settimana. Ed è stata un’esperienza bellissima: scrivi un racconto e lo leggi agli altri dieci e gli altri dieci lo criticano. Il prof interviene e suggerisce, alla fine si impara anche a fare una critica. Ok, non è matematica e siamo d’accordo, appunto per questo è indispensabile che il prof non insegni in senso tradizionale ma accompagni e indirizzi gli studenti a capire cosa in un racconto funziona e cosa non funziona. Come? Proponendo la lettura di autori riconosciuti e di scritti che funzionano, facendo conoscere come tale autore è uscito da una stessa problematica situazione, come un’impasse narrativo è stato superato, e così via. Mostrando, facendo vedere: non giusto questo e sbagliato quello, semplicemente così funziona e così funziona meno, non funziona, non va, ha un effetto pessimo sul lettore. Sei d’accordo? Infatti di nuovo, uovo e gallina: chi dice che così funziona e così no? Sulla retorica sono stati scritti centinaia di manuali, da qualche parte occorre pur iniziare e trattandosi di un corso per principianti è chiaro che si debba partire dall’assunto che un elenco telefonico non è interessante mentre una storia con un inizio, un problema, uno svolgimento e la finale soluzione del problema lo è. E’ quello che si intende per prendere per mano il lettore e accompagnarlo alla fine del racconto, e per la mano del lettore sì, ci sono tecniche e queste tecniche si imparano. (Un giorno arriverà un autore che pubblicherà l’elenco del telefono del suo quartiere e diranno che è arte, ma è un altro discorso).

Difetti: alla Holden ci sono due mostri sacri e si chiamano Carver e Hemingway. Ora, per chi come me non capisce dove sia la genialata in un racconto come “Vicini” e per chi come me pensa che “Colline come elefanti bianchi” sia poco più di un esercizio di scrittura riuscito a metà, questo può essere un problema. (Do paletti, misure, insomma per capirci: il racconto breve più bello mai letto è Il gorgo di Beppe Fenoglio; il racconto lungo più bello mai letto è Il meridiano zero di Giuseppe Genna, all’interno di Assalto a un tempo devastato e vile). Carver e Hemingway sono la linea base all’altezza della quale avviene il confronto, da cui partono i riferimenti. Qui sta al singolo: se hai la forza per capire che cosa significano Hemingway e Carver rispetto al tuo proprio modo di narrare, il confronto con questi mostri del racconto mondiale è un valore aggiunto; se invece li prendi per buoni e pensi che H e C siano l’unico modo di scrivere racconti, allora avrai semplicemente imparato a provare a imitare due scrittori.

In metafora: se capisci perché l’enologo fa così e non cosà, allora l’anno dopo non avrai più bisogno di lui e farai un ottimo vino da solo. Se ti limiti a seguire quello che fa, non sarai mai in grado di fare un vino buono.

Pregi: primo: Alessandro Baricco, in dieci mesi di corsi, non si è mai visto.

Secondo: così come erano organizzati i laboratori, si è creato un gruppo solido – per il tempo che è durato, ovvio, da lì in poi intervengono i misteri della alchimie umane – e, semplicemente, ci si è divertiti parecchio e quindi si possono dire tutti i pregi di qualunque corso annuale in cui ci si diverte tantissimo.

Chicche: lo scrittore Giorgio Vasta che in una lezione sulla narrativa italiana fa un riferimento poco carino al leghismo – manifestando un disprezzo per i leghisti che almeno a Torino, negli ambienti culturali, è dato per scontato – e dalla sala si alza una mano e una signora gli risponde per le rime: «Scusi, cos’ha contro la Lega? Io sono leghista, e allora?». Gelo e imbarazzo: io rido.

Infine, invento una specie di FAQ.

Pensi che Straricco freghi i soldi?

No. Se la discriminante è la pubblicità ingannevole, la Holden non credo faccia pubblicità ingannevole. Se uno crede, solo perché si iscrive, di diventare Mazzantini o Veronesi è un problema suo.

I docenti sono preparati?

Quelli che ho conosciuto io senz’altro sì. Ho stimato parecchio Fabio Geda, Emiliano Poddi, Davide Longo. Gli altri non ho avuto modo di conoscerli.

Rifaresti l’esperienza alla Holden?

Anche subito. (Anche se non sto più con la fidanzata che mi regalò il corso).

Baricco ti è simpatico?

No, per niente, mi sta proprio sul c.....

Adesso concludi con una frase finale, storica, epica.

Se hai talento, il talento va allenato e la scuola Holden senz’altro serve.

Se non hai talento, tutto quello che farai sarà alimentare un’illusione.


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