Non sono per niente scandalizzata né tantomeno stupita per tutto il marciume che affiora ribollendo in questi giorni dalle stanze dei palazzi. Disgustata sì, è ovvio, come quando per strada si pesta uno scaracchio o un preservativo usato.
Ma c’è una cosa che mi disgusta ancora di più, se possibile; ed è la sorpresa, lo stupore, lo sdegno, lo stracciarsi le vesti, lo scandalizzarsi, il coretto ipocrita degli “uuuh!” e degli “oooh!” che accompagna questo recente e presente ribollire. Perché non riesco (in coscienza) a credere che nessuno sapesse, nessuno sospettasse, nessuno intuisse che — da quando il Politico è diventato politica, e il “fare politica” un sinonimo di “tirare a campare” — questo e non altro ci si dovesse aspettare dai politici, appunto.
Come accade spesso, i casi sono due e tertium non datur: o davvero non si sapeva quello che stava accadendo, o faceva comodo non sapere. Punto. Ne consegue, a mio avviso, che ci fosse da un lato chi era ignorante e non capiva, e dall’altro chi era mascalzone e facesse finta di niente. Ora, se uno non sa una cosa è meritorio insegnargliela: nel frattempo, però, evitiamo che faccia danni; del pari, se uno bazzica il Palazzo e i palazzi ma se ne frega del bene comune, evitiamo che faccia danni anche lui. E stabiliamo che in entrambi i casi costoro non debbano potersi avvicinare alle urne, né come elettori né come candidati, per nessuna ragione al mondo: perché il loro pasticciare con voti di scambio, schede fantasma e crocette vagabonde sarebbe una catastrofe per il Paese.
Mi si fa notare che la catastrofe c’è già stata. A parte che — così a naso — non mi pare ancora compiuta (ed è questo che mi spaventa), chi ti dice che sia un male?