Per come la vedo io. Sull’arte dello scrivere.

Creato il 19 maggio 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Marco Casula. È questo un periodo della mia stagione nella quale mi trovo che non ho niente da fare. Coltivo le virtù benefiche dell’ozio. Beato te, dirà chi mi sta leggendo. Chi se ne frega diranno i più educati. Vattela a pijar in der… , esclamerebbero certi amici romani che conosco.

E forse avrebbero pure ragione, con tutti i drammi che si consumano sotto i nostri occhi. Non avere niente da fare è, a seconda dei punti di vista, un privilegio che solo un nababbo può permettersi, oppure un triste destino di un poveraccio che non sa dove sbattere la testa. Non voglio tirarla per le lunghe, né giustificare la mia posizione, non credo che interessi alcuno. Parto da qui semplicemente perché è la verità allo stato puro, per quanto mi riguarda. Lo dico perché non essere condizionato dai tempi che altri impongono, consente che sia tu a dettare i tempi della tua vita.

Nel mio caso, per esempio, il tempo a disposizione, al netto delle normali operazioni di sopravvivenza umana e alla cura parentale delle persone con le quali mi accompagno, lo dedico alla scrittura. Solo chi ha tanto tempo davanti a sé può permettersi di scrivere. Va da sé che non parlo dei professionisti della scrittura, per definizione essi sono pagati per farlo. Questo, sia detto incidentalmente, mi fa dire che non esistono gli scrittori della domenica. Chi scrive abitualmente per passione o per vocazione, non una tantum, e a prescindere che la sua opera, piccola o grande, abbia un corrispettivo, sia questa una storia o un brano in versi (e sono tantissimi che si cimentano, un esercito incommensurabile) lo fa di solito con normale impegno.

Per come la vedo io, scrivere è innanzi tutto avere cose da dire. Avere per prima cosa un’idea da cui partire per scrivere, che è soprattutto un’intuizione, l’intuizione di un’idea. Perché a quel punto l’autore è come un cieco, e come un cieco deve farsi guidare dalla sua intuizione per scoprire mondi e colori che non ha mai visto, che altri non hanno mai scoperto. Un’idea che, ovviamente, vale la pena di scoprire e che sia interessante per gli altri, che saranno il suo pubblico. E’ questo l’unico obbligo cui deve sottostare l’autore cieco, come diceva Henry James.

E dunque esso avrà un’origine e un compimento. Non è questione di tecnica, che pure sarà necessaria ma, perché avvenga, il cieco dovrà sedersi in ultima fila nel salotto della sua esperienza, attingere dalla sua sensibilità per i ritmi, le sfumature di significato e di linguaggio, i suoni e i colori, dare corsa alla sua vitalità immaginativa, cercare la sua voce oltre il buio che c’è e alla luce che lentamente si fa. E’ il punto critico che combina forma e contenuto, dove origine e compimento si fondono. Ecco, è il momento di farlo. Mi sono lasciato prendere la mano e ho detto anch’io la mia su una cosa che non so. Perché il primo romanzo lo sto scrivendo ora e chissà se mai diventerà un libro. Un libro che sia, ancora una volta, il primo.

Featured image, Henry James ritratto da John Singer Sargent.

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