Per conoscere Rapacità, devi masticare Rodolfo Valentino e un Ben-Hur

Creato il 18 marzo 2015 da Fabioeandrea

La mia formazione non è del tutto completa. Ecco, partiamo da questo punto. Partiamo dal fatto che, anche lavorando come critico cinematografico e anche azzardandomi a scrivere con Andrea Spiga un saggio teorico sul linguaggio cinematografico, non si nasce imparati e, quindi, anche io ho le mie belle lacune.
Un critico cinematografico non lo dovrebbe mai ammettere. Perché, si sa, noi siamo infallibili. Noi siamo er mejo. Noi siamo noi e voi-non-siete-un-cazzo, soprattutto quando a noi il film piace e voi lo reputate una merda (tipico caso La grande bellezza) oppure viceversa (tipico caso i film di Checco Zalone). Eppure, molti di noi confessano che, a volte, proprio quel film con quell’attore non l’hanno visto. Che proprio quel genere lì, chissà perché, se lo sono perso. Può capitare eh, siamo umani anche noi, che credete? Siamo fatti di carne e di nitrato d’argento, ma ogni tanto il nitrato ci frega. Però calmini, le basi storiche le conosciamo tutti e abbiamo anche visto tutti i capolavori della storia del cinema perché altrimenti checacchiostiamoascrivereallora?
Solo che a volte, per studiare meglio una pellicola che è la masterpiece delle pellicole, bisogna andare più nel profondo, essere più curiosi storicamente e non solo… e così si finisce per approdare ad altri titoli su cui, vergognosamente, mai si era buttato un occhio prima.
A me succede poco, e non lo dico per darmi arie. Essendo un ragazzo metodico, amante delle liste e pure un po’ fissato con l’ordine, seguo rigide tabelle di marcia per stare appresso a ciò che studio o scrivo. Questo però mi porta a stare anni e anni sullo stesso autore. Pensate che sto uscendo solo adesso dal mio periodo murnaiano (durato dieci lunghissimi anni. Dieci. DIECI). Pensate che sono a tanto così dal dire “Bene, Fabio, hai analizzato tutte le pellicole di Friedrich Wilhelm Murnau e affini, quindi, ti puoi mettere l’anima in pace. Non ha più segreti per te”.
Ma dopo Murnau e il suo Nosferatu e Aurora, cosa viene? Su cosa concentrarsi?
Prima di tutto, si rimane nel muto, ma ci si sposta in un’altra nazione. L’America. Perché arriva Rapacità, viene Greed, il capolavoro maledetto di Erich von Stroheim. Il genio del male cinematografico e dello scandalo… e quindi, altro giro, altra corsa.
Se Murnau è il signore della luce e delle ombre, von Stroheim è il dio della perversione filmica, dei peccati, di tutto quello che ti schifa dell’uomo, ma che è lì nel suo film e ti tocca vederlo. Ti tocca vederlo perché lui non ha alcuna intenzione di nasconderlo dietro le ombre (o quasi).
Ma per studiare Greed bisogna conoscere anche altre pellicole e si ritorna al punto di partenza, vale a dire che io, quelle pellicole, non le conoscevo. Almeno fino a sabato scorso. Si, perché sabato, da buon nerd e “fissareddu” del cinema, ho aperto le mie sacre bibbie cinematografiche e ho stilato una lista di pellicole che, se vuoi capire il perché, il per come di Greed, devi visionare.
E che si scopre? Si scopre che non si può vedere Greed senza conoscere due film di Rodolfo Valentino e un Ben-Hur del 1925.
I due film del bel Rudy sono Lo sceicco e I quattro cavalieri dell’Apocalisse e servono per due motivi diversi alla comprensione storica e alla nomea di film maledetto di Greed.
Il primo. Lo sceicco, serve da un punto di vista scenografico. Perché quando McTeague, dopo aver ucciso sua moglie Trina (una meravigliosa e ripeto MERAVIGLIOSA Zazu Pitts), si avvierà nella Valle della Morte, tallonato dal cugino ed ex fidanzato di Trina e ci sarà il duello finale fra i due, verrà scelta esattamente la stessa location che era stata usata per il film di Valentino.

Solo che, quando venne girato il film del bel sex symbol italiano, non ci furono danni per la produzione, perché gli Studios scelsero una stagione più mite per aggirarsi fra le dune e i deserti, mentre invece von Stroheim, condannò a morte troupe e cast, scegliendo la piena estate e quindi temperature che oscillavano fra i 33 e i 66 gradi sopra lo zero. Dei 41 poveri cristi che erano partiti, 14 si ammalarono gravemente (fra loro l’attore Jean Hersholt che perse 12 chili in due settimane, si ritrovò con il corpo pieno di piaghe e con la mente acceccata dai deliri dovuti al caldo torrido che, al ritorno con la civiltà, lo costrinse a un ricovero forzato in psichiatria). Uno, il cuoco, morì per ipertensione. Fatto che, chiaramente, come ho già detto, aumentò la maledizione sulla pellicola. E vedendo Lo sceicco, la differenza con Rapacità è palese. Volti freschi, ancora truccati, perfetti, vestiti con abiti anche pesantemente elaborati, contro il sudore che cola sulle fronti orride di Gibson Gowland e del moribondo Hersholt.
Secondo film è I quattro cavalieri dell’Apocalisse, sempre con il bel Valentino come protagonista in versione tangero argentino che parte per la prima guerra mondiale e non ritorna più. Eh sì, perché chiuso in sala di montaggio, Stroheim non riesce a ridurre (come invece volevano gli Studios) il suo film a meno di 24 bobine. Minacciato dal grande e potente Irving Thalberg, Stroheim disperato affida Greed nelle mani di un suo collega regista, Rex Ingram, che avendo compiuto un miracolo di molto simile proprio con il montaggio di I quattro cavalieri dell’Apocalisse (che doveva essere molto più lungo di quelle due ore di cui è composto tuttora), riesce a ridurlo a 15 bobine.

Pare che abbia utilizzato lo stesso identico metodo di scelta del scene del suo film del 1921 per l’opera del suo collega. Un metodo di lavorazione che è esemplificabile con queste azioni:

1) Mettere bene a fuoco la linea della trama e stare ben attenti a non rivoluzionarla.
2) Chiedersi “Ma questa scena, che è pure girata benissimo, ha un perché fondamentale nella trama? Se la risposta è no, è il caso di tagliarla.
3) Tenere una serie di scene che sono pure superflue, ma danno colore alla trama
4) Organizzare le scene riducendole ai minimi termini di colelgamento.

Ai montatori di oggi, sembreranno delle enormi cazzate palesi come la luce del sole, ma non dimentichiamo che Greed è un film dell’epocas del muto e allora, la grammatica del cinema, per quanto primitiva ed esistente, doveva ancora essere fondata e costruita. Per questo, la solida corposità di I quattro cavalieri dell’Apocalisse, la sua struttura scheletrica, ma non eccessivamente pesante, fa comprendere come Ingram avrebbe lavorato.
C’è da dire che purtroppo tutto questo non basterà perché la Metro Goldwyn Mayer lo considera ancora troppo lungo e lo mette nelle mani di Joseph Farnham che lo riduce a 10 bobine (quindi circa due ore di girato, più o meno), sostituendo le scene tagliate con delle blande didascalie. Cosa ancora più grave, forse la più grave di tutte, i 32 rulli di negativo tagliato vengono fusi dalla MGM per recuperare la quantità di nitrato d’argento che contenevano… oltre che per fare un enorme dispetto a von Stroheim. Figli di puttana.
In ultimo, arriva Ben-Hur del 1925. Gran parte dell’insuccesso del povero Rapacità si deve ai troppi costi esorbitanti che la Goldwyn Company aveva incocciato nella realizzazione del fastosissimo Ben-Hur di Fred Niblo, che per chi non lo sapesse era stato girato ben due volte, perché la prima non andava bene!

Per questo motivo, la Goldwyn Company collassa economicamente e viene fusa il 10 aprile 1924 con la Metro Pictures Corporation, sotto il controllo di Louis B. Mayer e non si può proprio permettere che von Stroheim faccia il cazzo che gli pareva con Greed e, quindi, trasformarlo non in un film d’autore eccessivo come voleva, ma in un film commerciale… Perché se non si fosse girato quel Ben-Hur lì, che aveva messo in ginocchio la casa di produzione, forse, e dico forse, tutti quei rulli di negativo non sarebbero stati bruciati. Insomma, si è cercato di salvare una storia omaggio al Cristo con set realizzati in Europa nei minimi particolari e con la più grande e intensa cura, per mandare a puttane un immenso e straordinario approfondimento psicologico sulla gretta avidità umana. Alla fine, la MGM, scelse di mandare in croce Barabba e di salvare Jesus Christ.

Fabio Secchi Frau


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