“Per essere attori bisogna prima di tutto essere”, addio ad Arnoldo Foà

Creato il 12 gennaio 2014 da Af68 @AntonioFalcone1

Arnoldo Foà (Wikipedia)

Difficile commentare la scomparsa di Arnoldo Foà avvenuta ieri, sabato 11 gennaio, a Roma, senza sconfinare nel retorico elenco delle sue intense interpretazioni, esternate pressoché in tutti i campi dello spettacolo (teatro, dove fu anche valido drammaturgo, cinema, radio, televisione) e dei riusciti “sconfinamenti” nei territori della scrittura, pittura e scultura. Preferisco allora lasciare fluire i ricordi e rammentare il primo incontro, nel senso di visione cinematografica, avuto con l’eclettico artista, il cui apparire burbero ed umorale veniva mitigato da quel particolare sorriso, sospeso fra fare sornione e candore infantile, unito ad uno sguardo particolarmente limpido ed acuto, senza dimenticare il suo caratteristico timbro vocale, che tanto ha dato al mondo del doppiaggio (sua, fra l’altro, la voce di Anthony Quinn/Zampanò ne La strada, ’54, Federico Fellini).

Foà e Antonio De Curtis in “Totò Sceicco”

La memoria offre la visione, in bianco e nero, come le più lontane reminescenze di quanti appartengono alla mia generazione, di un film visto da bambino in tv (e più volte rivisto nel corso degli anni), Totò sceicco,’50, diretto da Mario Mattoli, una delle prime parodie interpretate dal principe della risata, andando alla scena in cui, nei corridoi del palazzo di Atlantide, il maggiordomo Antonio (Totò) e il marchesino Gastone (Aroldo Tieri) incontrano uno strano individuo (Foà), occhi spalancati e fare delirante, il quale racconta ai due l’amore per la regina Antinea che lo ha reso folle (“Si vede che sono pazzo?” e Totò, di rimando, “Ma no, macché …”).
Fra le migliori ed indimenticabili sequenze della pellicola, un’entrata in scena ed una naturalezza nello scambio delle battute, fra sguardi e gestualità, che saranno una costante delle tante prove recitative offerte da Foà nel corso di una carriera artistica all’insegna della più genuina poliedricità.

Una volta conquistato da tale interpretazione, come avvenuto per altri attori/registi, ho iniziato a seguirne le gesta e, ormai grandicello, a recuperare grazie all’home video molte sue prove recitative, in particolare televisive (Il giornalino di Gian Burrasca, Lina Wertmuller, ’64, nel ruolo dell’avvocato Maralli; La freccia nera, ’68, Anton Giulio Majano, dove dava risalto alla cattiveria e perfidia di Sir Daniel Brackley), apprezzando infine anche incursioni cinematografiche relativamente recenti (come il Presidente ne La febbre, 2004, Alessandro D’Alatri). Un intenso ricordo a colori, di un’altrettanto intensa emozione vissuta dal vivo, riguarda l’agosto del 2005, la XXV edizione di Rumori Mediterranei, il Festival Jazz di Roccella Jonica, quando ho assistito allo spettacolo Mille e una notte. Sherazade, con le voci recitanti di Lella Costa ed appunto Foà, accompagnate dalle musiche di Paolo Damiani (violoncello) Javier Girotto (sax), Bebo Ferra (chitarra) e Danilo Rea (pianoforte).

Foà nacque a Ferrara, nel 1916, in una famiglia di origine ebraica, che seguì a Firenze, dove intraprese gli studi di economia e commercio, presto abbandonati in nome del crescente interesse per il teatro, iniziando a frequentare la scuola di recitazione Luigi Rasi, per poi trasferirsi a Roma, così da frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia, che però fu costretto a lasciare, siamo nel 1938, una volta promulgate le leggi razziali.
Per poter continuare a lavorare, spesso come sostituto all’interno di prestigiose compagnie, iniziò ad impiegare tutta una serie di pseudonimi, mentre nel ’43 trovava rifugio a Napoli, dove divenne capo-annunciatore e scrittore della Radio Alleata (suo l’annuncio, 8 settembre 1943, dell’ avvenuto armistizio).

A guerra finita, Foà poté dedicarsi ormai tranquillamente all’attività teatrale, unendosi man mano negli anni alle più importanti compagnie e sotto la direzione di registi, fra gli altri, quali Luchino Visconti, Giorgio Strehler, Luigi Squarzina, Luca Ronconi, alternata alle suddette attività cinematografiche, televisive e radiofoniche, per divenire fra le più apprezzate e popolari testimonianze della cultura del ‘900, manifestazione di una rara sintonia fra uomo ed artista, espressa con costante purezza ed invidiabile lucidità, non disgiunte entrambe da una sottile e pungente ironia, come quella rinvenibile in una frase dell’artista riportata nella pagina iniziale del suo sito web ufficiale: “Per essere attori bisogna prima di tutto essere”.


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