per Fabiana (ma anche per Giovanni, Olivia, etc.)

Da Suddegenere

Giovanni e Olivia, un paio di anni fa

Complimenti signora, suo figlio è un bambino particolarmente riflessivo, buono e generoso“, mi dicono le maestre. Fino allo scorso anno, il bambino giocava molto volentieri con le bambine. Aveva almeno un paio di amichette con le quali passavano molto tempo, alternando giochi con le macchinine, con le costruzioni,  puzzle,  disegni e anche pentoline. Con le armi, mai. Non me ne aveva mai chieste in regalo, e io ho preferito non proporgliele. Le cose sono cambiate molto rapidamente da settembre, non dovrei sentirmi più una buona madre, pare. Con l’inizio della prima elementare, grazie ad un confronto più costante e serrato con gruppi di  maschi coetanei, e a partire da quelle che potrebbero apparire piccole cose, il bambino: non ha voluto più indossare la sua felpa preferita (“il viola è un colore da femmine”), ha iniziato a fare giochi “nuovi” ( “stiamo facendo la guerra, dobbiamo catturare le bambine“), a fare considerazioni lapidarie ( “le femmine non possono costruire case, quello è un lavoro da maschi“), a biasimarmi per spostamenti al quale l’avevo abituato ( “e se parti dalle tue amiche, chi si occupa di me? le mamme stanno a casa a crescere i  figli “). Poi, un giorno è tornato a casa e, raccontandomi della giornata a scuola, con uno sguardo dritto di sfida, se n’è uscito con una frase che mi ha lasciata impietrita: “le femmine fanno schifo“.

La mia prima reazione è stata chiederli da chi avesse imparato una cosa del genere e chiedergli perchè, secondo lui, “le femmine fanno schifo”. Lui è stato muto, ha distolto lo sguardo. Gli ho detto “allora faccio schifo anche io”. “Ma no, tu sei una mamma“. La situazione è ben peggiore, ho pensato. A quel punto gli ho ricordato che sono una “femmina” esattamente come le sue compagne, solo più grande di età, e tante altre cose che credo gli siano risultate condivisibili, anche se gli leggevo chiaramente in faccia che, di quanto stavamo discutendo, non gli sarebbe convenuto farne parola ai suoi compagni (cui non garba neanche avere un bacio dai genitori  all’ingresso di a scuola,  perchè non è abbastanza “maschio”).

Lo dirò molto francamente:  delle convenzioni internazionali e delle petizioni nostrane, me ne importa ben poco. Viene da sé, che l’unica vera soluzione è quella ripetuta incessantemente da più parti : ossia quella di intervenire su quei ruoli stereotipati, su quei modelli culturali, che hanno dato pessimi frutti e che introiettiamo ogni giorno grazie a millenni di patriarcato (gli scettici lo chiameranno come meglio credono, ma la sostanza ci inchioda). Se, quindi, tra le soluzioni d’emergenza a breve termine, vi è il finanziamento ai centri antiviolenza (intesi come presidi di donne adeguatamente formati e laici); una di quelle, vitali, a lungo termine è senz’altro l‘insegnamento nelle scuole, a partire da quelle primarie. Da questo punto di vista,  molto utile è un lavoro come quello  di Serena Ballista e Judith Pinnock, dal titolo A tavola con Platone  , per il quale hanno lavorato a partire dal primo premio Immagini Amiche dell’UDI.

 Anche rispetto alla necessità di un corretto uso linguistico dei mezzi di informazione, sono stati spesi fiumi di parole: a muovere l’omicida, non sono  passione, amore e gelosia,  come se questi potessero venire considerate attenuanti che rendono i crimini piu’ efferati comprensibili , fin quasi a trovarne una giustificazione sociale, alla sensibilità comune.

 I messaggi costantemente traslati, attraverso parole e allusioni, sono che:  se ti stuprano è perchè in qualche modo te la sei cercata (cosa ci facevi a tarda notte in un locale di periferia? quanto avevi bevuto? non lo sai che ci si veste in maniera appropriata?); se tuo figlio ha stuprato è  colpa tua, che sei la madre (non della famiglia, non anche del padre, non dei tempi, non della società, etc, è proprio colpa tua perchè a te – e solo a te- spetta la responsabilità di allevare i figli, un modo come un altro – questo- per dire: se nel mondo succedono cose terribili è colpa delle madri cui, da bravi angeli del focolare, spetta in toto l’educazione di futuri uomini e donne); se ti uccidono è perchè (poverino) era geloso, perchè anche tu ci hai messo del tuo (eri gelosa pure tu), perchè le perversioni relazionali sono il grande male dei nostri tempi,  infine: “Perché la madre ha una storia con un direttore del Comune. Così lui ha vissuto queste corna pubbliche. Tutto il paese lo sa“.

Non riesco a leggere più nulla dell’assassinio di Fabiana. Qualunque commento sui giornali mi pare insensato e folle, al contrario del gesto dell’assassino per il quale  nessun giornalista, credo, sia riuscito a mettere in evidenza le ragioni che affondano nella “nostra” cultura.

 La violenza di genere è un fatto sociale e culturale, che trascende la dimensione privata, e che ha radici nella disparità di potere tra i sessi. Lo stupro è uno strumento di esercizio maschile sull’ affermazione della libertà delle donne. Parole che rimarranno vuote in eterno, se per le Istituzioni rimarranno solamente un mezzo per allargare bacini elettorali e se  ciascuno di noi, donne e uomini, non sarà capace ad avvertire il peso di una responsabilità sociale così grande, che atterrisce, che uccide.

*****

dall’ultima relazione del Centro contro la violenza Roberta Lanzino alla Regione Calabria, una breve analisi della situazione e una proposta di intervento:

 << Il Centro antiviolenza è anche baluardo culturale,perché dalla analisi delle situazioni di violenza prese in carico, nascono riflessioni sulle costanti che accomunano gli autori della violenza e le donne che la subiscono.
Da queste riflessioni emerge come la costruzione delle identità maschili e femminili sia approdata ad una opposizione esasperata e pericolosa.
Da qui la necessità di reinterrogarsi sullo stato della cultura patriarcale e sulla sua pervasione.”"ad oggi non possiamo più pensare la violenza sulle donne semplicemente come espressione del dominio maschile, ma come un tentativo ulteriore ,da parte dell’uomo, di riconquistare le posizioni che le donne stesse hanno messo in discussione,.(Stefano Ciccone in Una violenza strutturale)
Da questa consapevolezza nasce il desiderio e la disponibilità ad intervenire nelle scuole per sollevare, con la competenza che ci appartiene, il tema ella relazione tra i generi,
Purtroppo i dati dei Centri antiviolenza del 2012, ci dicono che sono in aumento i giovani autori e le giovani vittime.
Si sono analizzati casi “in cui si assiste ad una romanticizzazione della violenza proiettata nel mondo dell’adolescenza in cui spesso i sentimenti ed i rapporti sono vissuti in maniera estremizzata”
Nello stesso tempo, l’esposizione mediatica a cui i giovani sono esposti, sia quella subita dai video giochi dai media violenti, sia quella agita attraverso il mostrarsi sui social netwourk,li rende più vulnerabili ed incapaci di gestire situazioni complesse e pericolose.
Il Centro antiviolenza si propone come baluardo di una cultura contro la violenza per il rispetto tra i generi.
Con il sostegno e l’apporto delle discipline curriculari, la buona volontà degli insegnanti, facciamo entrare nella scuola una riflessione inedita che non trova spazio nei programmi scolastici.:la cultura di genere e i suoi cambiamenti.
L’unica vera prevenzione rispetto alla violenza di genere consiste nella formazione , nell’educazione all’affettività, ad una consapevolezza corporea positiva, ad una gestione razionale dei sentimenti di rabbia, frustrazione ed impotenza.
Vedere la violenza e combatterla è una questione di responsabilità alla quale nessuno può sottrarsi, tantomeno gli uomini e le donne delle istituzioni, lasciare soli i Centri antiviolenza o in condizioni di precarietà vuol dire non aver cura dei diritti umani delle donne.>>

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