Lavare i vetri, passare la scopa elettrica, scorrere all’infinito con lo straccio sul parquet sino a farlo brillare; la polvere, poi, la polvere. Devi togliere la polvere, poi, riordinare negli scaffali della libreria; magari – persino – cucinare qualcosa di fresco e di buono per il pranzo di questo martedì d’agosto, piena estare caldissima di nuovo.
Tutto, pur di ritardare ancora per un’ora, un giorno, quel giorno. E così divengono mesi, poi anni; passa il tempo, intanto, e non cominci mai
Per favore, aiutatela: ditele di non avere paura, ditele di mettersi al computer e di incominciare.
Si può fare soltanto così: si incomincia, si va avanti, si corregge e magari si torna indietro per sistemare aggiustare rifinire riscrivere.
Non c’è altro modo: se non comincia non ci riuscirà mai, diteglielo.
Se continua a rimanere in silenzio, a pensarle soltanto, quelle storie, non avranno mai voce. Rimarranno per sempre dentro di lei e nessuno mai ne potrà trarre gioia, nutrimento, svago.
Per favore, aiutatela: ditele di non avere paura, ditele di mettersi al computer e di incominciare. La trilogia dell’Appennino deve nascere crescere, divenire frasi paragrafi caoitoli ed infine la storia compiuta di gente, di fatti, di luoghi.
Diteglielo, per favore.
Il mattino d’agosto avanza, si fa più pressante la calura umida che ricopre il corpo, toglie le forze. Il sole è velato, ma picchia forse di più, stamattina. Tacciono ormai gli uccelli che hanno fatto il nido nei carpini del viale, non volano alle siepi di lauroceraso che racchiudono i giardini, non cercano la terra arida sotto i cespugli per trovare un seme dimenticato chissà da quando, chissà da chi.
Nella mente le prime parole del secondo libro della trilogia dell’Appennino si allineano con il loro senso, il loro ritmo; ne sa ormai tante pagine, ma se prova a scriverle c’è troppo bianco, intorno, e non riesce ad andare avanti.
Per favore, aiutatela: ditele di non avere paura, ditele di mettersi al computer e di incominciare.
Scrivete con lei queste storie, obbligatela, non lasciate che passino ancora giorni, mesi, anni…
Scrivo parole ogni giorno.
Non so dove arriverò,
scrivendo.
So che potrei tacere.
Colui che sa, non parla.
Muto nel ventre del tempo
dove uomini gridano, anche.
Lo sguardo
basterà per comprendere e dire
quanto la voce non dice.
Sfioro ogni istante, ogni giorno
l’urlo e il tuono. Vivo intorno.
Potrei fermarmi e attendere.
In silenzio.
MARGHERITA GUIDACCI
Archiviato in:Uncategorized