Le felci si sgretolano sotto la pressione dei piedi che piombano al suolo come fucilate uno dietro l’altro. Il cuore mi rimbalza in gola per la paura. Il fiato ritmato mi rimbomba nella testa e diventa assordante unito al fracasso delle foglie che calpesto; non riesco a sentire se mi stanno seguendo ancora. Riesco a malapena a schivare i rami degli alberi che ricoprono la montagna, le spine di alcuni arbusti mi stracciano i pantaloni e poi le caviglie. Il terrore mi impedisce di girarmi a guardare e continuo a correre il più veloce possibile senza sapere dove sto andando.
Questo tratto di bosco non è ancora stato ripulito per la raccolta delle castagne che ci sarà tra qualche settimana. Ne approfitto e mi lascio cadere in un cespuglio sperando di non essere visto. Trattengo il respiro e tendo l’orecchio: nulla, solo il fruscio del vento che spettina gli alberi sopra di me. Un lungo sospiro mi incolla al suolo.
Il caos dentro di me è zittito dalla calma che mi circonda. La montagna, ferma e seria, mi invita a raccogliere le idee mentre il campanile che sovrasta il paese, sembra volermi chiedere cosa sta succedendo.
Per fortuna ci sono le nuvole. Una, a forma di quadrifoglio, scappa da un’altra più grande che sembra un coniglio, alla stessa velocità con la quale io scappo da questa gente, ma ha meno paura.
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