Per grazia ricevuta è un diario emozionale che, toccando l’argomento dell’assistenza agli anziani e ai disabili, si inserisce nel filone di interesse sociale che le WOMEN@WORK hanno felicemente inaugurato con l’antologia di racconti brevi dal titolo TRACCE. L’autrice, in questo scritto, vuole dare voce a coloro che ogni giorni percorrono una strada fatta di sofferenza e di dolore e che vengono spesso trattati, dagli stessi che su di loro traggono guadagno, alla stregua di esseri senza diritti, senza alcun potere decisionale e, talvolta, senza minimo rispetto e dignità umana, portandoli in quella situazione che dall’autrice stessa viene definita “una morte civile”.
Il libro della Zamparo è uno di quei pugni allo stomaco che ti lasciano senza fiato, nell’impossibilità di urlare tutto lo schifo in cui siamo immersi e che sembra non avere fine.
La Zamparo, partendo dalla descrizione di fatti realmente accaduti e da lei vissuti in prima persona, getta un’ombra fitta sul mondo dell’assistenza ad anziani e disabili. Ne emerge un ritratto spietato, dai contorni inquietanti sulle modalità con cui certe strutture di accoglienza e certe cooperative gestiscono utenti e personale, il tutto in nome del becero profitto, a discapito, spesso, del rispetto della dignità umana. Man mano che le pagine si susseguono, la Zamparo ci conduce, nostro malgrado, in buco nero in cui sono l’ignoranza, la cattiveria, le logiche del profitto, le invidie e i colpi bassi a farla da padrone. Sebbene l’autrice, verso la fine, cerchi di sottolineare come accanto a tanto buio, lei abbia sperimentato anche persone e situazioni veramente speciali nel suo peregrinare da una struttura all’altra, da un malato all’altro, la sensazione che resta appiccicata addosso è quella per cui questo buio ha una consistenza talmente densa e opprimente da rendere difficile anche solo lo scorgere di qualche bagliore. E tale consapevolezza brucia, perché in essa c’è tutta la paura per un futuro al quale in pochi si potranno sottrarre, in cui la malattia e la vecchiaia saranno le nostre ultime compagne accanto alla solitudine, quella condizione spesso sbandierata come conquista della propria libertà individuale quando si è forti, sani, giovani e che rappresenta invece, l’anticamera della fine quando è imposta dal menefreghismo del mondo verso il più debole.
E la Zamparo ci mette in guardia, sembra volerci dire: “Ecco, questo è quello che accade fin troppo spesso.” Allo stesso tempo, però, è come se volesse suggerirci: “Siamo ancora in tempo per cambiare le cose.”
Lei ci ha provato, pagando in prima persona, lavorativamente parlando e anche, in modo pesante, da un punto di vista psicologico e fisico.
E continua a farlo, grazie a queste pagine, in cui la denuncia ha il sapore asciutto e diretto della sintassi utilizzata: essenziale, lineare, bidimensionale. L’autrice ha affidato a una scrittura quasi acerba e naïf il compito di urlare.