Il 15 settembre Jurij Borisovič Norštejn, il grande Maestro dell'animazione russa, ha compiuto 70 anni. Mentre aspettiamo pazienti che vada avanti il suo Cappotto traduco un pezzetto di Sneg na trave, La neve sull'erba. Un libro meraviglioso, brogliaccio di pensieri immagini, lezioni dotte e semplici epifanie. Qui sta parlando del lavoro dell'artista, ma credo valga per tutti noi e per tutti i nostri lavori, che nella loro "professionalità tecnica", nella ripetizione dei gesti quotidiani possono nascondere insospettate riserve di creatività. Proprio quella di cui parla Jurij Borisovič.
"Intendo dire: non abbiate paura di fare film in modo astratto. Esso non è meno reale di quanto non sia raffigurare le cose realisticamente. In quale caso rimanga più spazio per la fantasia è tutto da verificare.
Oppure una pozzanghera splende nell'oscurità di un androne. E tu capisci che in quel posto la silhouette di qualcuno per un attimo si sovrapporrà al riflesso del lampione. O all'improvviso ti avvolge l'odore della neve che penetrerà nel coppino e balenerà un cappuccetto rosso fatto ai ferri e gli alberi nella neve, e un pigro "cra-cra" di corvo e un silenzio sconfinato. E non importa in quale parte del film rimeranno questi versi che vedi solo tu. Sono venuti, troveranno il loro posto. Siamo ancora lontani da un'immagine concreta, ma tu artista devi fissare la tua sensazione nuova. E questo è lo stadio più difficile del lavoro. È più facile disegnare qualcosa di tecnico.
A me poco importa ciò che è disegnato bene. La maestria più alta non è la capacità di disegnare. La maestria più alta vuol dire riuscire a trovare relazioni tra il calore, la luce dentro il disegno, tali per cui sia possibile dare consistenza sensibile all'inquadratura. E ciò non ha niente a che fare con il disegnare bene. Per questo io chiedo una raffigurazione "pasticciata": "Per favore disegna con la mano sinistra". Che sia arraffazzonato, che sia sciatto. L'importante è che coincida perfettamente con ciò che mi è apparso, che esprima le mie sensazioni. [...] In genere un film deve essere costituito da parti non finite. In modo che ogni suo elemento nasconda in sé il principio di "una raffigurazione in più", di una "rozzezza in più". Questa costruzione permette alle parti non finite di collegarsi meglio l'una all'altra e di perfezionarsi in questo processo di unificazione. E allora è questa compattazione di energia - sia psicologica che spirituale - che io sento semplicemente in modo fisico. E tra l'artista e il regista sorge un campo magnetico. Tu devi solo creare le condizioni perché ciò si possa verificare. Quando tu ad un tratto cominci a fare ciò di cui la tua ragione non può aver consapevolezza e sembra che tutto accada senza il tuo apporto, secondo la volontà di qualcun altro. E tu persino non ti accorgi che a un certo punto è stato oltrepassato il limite oltre il quale si apre un altro spazio. E tutto accade con una leggerezza impensabile per te solo."
"L'autentica libertà di un artista nel cinema si trova quando egli comprende in modo ideale la propria correlazione con il tutto, quando comprende che il suo lavoro è solamente una parte di questo tutto, che poi si condensa sullo schermo. Florenskij parlava della condensazione dell'energia interiore. Le forme concluse in se stesse non vengono a contatto le une con le altre.
La condensazione ha origine dagli elementi che acquistano pienezza di suono solo unendosi. "Se il chicco di grano cadendo nella terra non muore, allora rimane da solo; ma se muore allora può avere tanti frutti"".