E così culturalmente ricca. Qui più che altrove la città mescola la sua gente con il patrimonio storico-artistico. Non fa distinzione, sono tutt’uno. Un indistinto. Preoccuparsi dei suoi monumenti solo dopo tutto il resto, se può sembrare corretto e inevitabile per noi che dobbiamo ricominciare una nuova vita e dobbiamo fare i conti con anni difficili, è in realtà profondamente sbagliato nei confronti delle generazioni future.
Basterebbe ricordare l’etimo della parola “monumento” per intendere quanto Chiese, palazzi storici e castelli, così come le case rurali che animavano le nostre campagne, siano parte integrante della nostra vita di cittadini. Ci ricordano da dove veniamo e ci danno indicazione di chi siamo. Costituiscono un pezzo importante della nostra identità. Come quando ci capita di dire: sono donna, sono madre, sono cattolica, sono di sinistra. Sono di Mirandola, città rinascimentale a vocazione filosofica. Città dei Pico. In quanto tale, il mio sguardo è Europeo. È stato il mio concittadino più illustre a insegnarmelo: Giovanni, della famiglia dei Pico della Mirandola.
“Monumento” e “uomini”, vengono dalla stessa radice “moneo” nel suo duplice significato di “ammonire” e di “ricordare”. È proprio questa complementarità, tra l’uomo e il monumento, che bisogna salvaguardare da subito. Da subito intendo con la stessa celerità e serietà con cui si sta affrontando l’emergenza lavoro e l’emergenza abitativa.
Non per noi, che siamo poca cosa. Ma per i figli dei nostri figli, che non dovranno vedere amputata la loro identità di mirandolesi all’Anno Zero, ma potranno rispecchiare i valori umanistici di quel Rinascimento che proprio oggi, nel 2012, esce fuori con la stessa prepotenza del sisma che ha tentato di portarselo via.
Cristina Ceretti