Per mio fratello

Creato il 11 novembre 2010 da Renzomazzetti

prigione

Carissimo, parto in questi giorni per una impresa di esito incerto: raggiungere gruppi di rifugiati nei dintorni di Roma, portare loro armi e istruzioni. Ti lascio questa lettera per salutarti nel caso che non dovessi tornare e per spiegarti lo stato d’animo in cui affronto questa azione. I casi particolari che la hanno preceduta sono di un certo interesse biografico ma sono troppo complicati da riferire: qualcuno degli amici che è da questa parte ti potrà raccontare come nella mia fuga da Roma sia arrivato nei territori controllati da Badoglio, come abbia passato a Brindisi dieci pessimi giorni presso il Comando Supremo e come, dopo essermi convinto che nulla era cambiato fra i militari, sia riuscito con una nuova fuga a raggiungere Napoli. Qui mi è stato facile tra gli amici politici e i reduci dall’emigrazione trovare un ambiente congeniale e ho contribuito a costituire un Centro Italiano di Propaganda che potrebbe avere una funzione utile e che mi ha riportato provvisoriamente alle mie attività normali e a un ritmo di vita pacifico. Ma in tutto questo periodo è rimasta in sospeso la necessità di partecipare più da vicino a un ordine di cose che non giustifica i comodi metodi della vita psicologica; e l’attuale irrigidirsi della situazione militare, la prospettiva che la miseria in cui vive la maggior parte degli italiani debba ancora peggiorare hanno reso più urgente la mia decisione. Così, dopo il fallimento, per ragioni indipendenti dalla nostra volontà, di altri progetti più ambiziosi ma non irragionevoli, ho accettato di organizzare una spedizione con un gruppo di amici. E’ la conclusione generale di quest’ultima avventura, ma soprattutto il punto di arrivo di una esperienza che coinvolge tutta la nostra giovinezza. In realtà la guerra, ultima fase del fascismo trionfante, ha agito su di noi più profondamente di quanti risulti a prima vista. La guerra ha distolto materialmente gli uomini dalle loro abitudini, li ha costretti a prendere atto con le mani e con gli occhi dei pericoli che minacciano i presupposti di ogni vita individuale, li ha persuasi che non c’è possibilità di salvezza nella neutralità e nell’isolamento. Nei più deboli questa violenza ha agito come una rottura degli schemi esteriori in cui vivevano: sarà la generazione perduta che ha cisto infrante le proprie carriere; nei più forti ha portato una massa di materiali grezzi, di nuovi dati su cui crescerà la nuova esperienza. Senza la guerra io sarei rimasto un intellettuale con interessi prevalentemente letterari: avrei discusso i problemi dell’ordine politico, ma soprattutto avrei cercato nella storia dell’uomo solo le ragioni di un profondo interesse, e l’incontro con una ragazza o un impulso qualunque alla fantasia avrebbero contato per me più di ogni partito o dottrina. Altri amici, meglio disposti a sentire immediatamente il fatto politico, si erano dedicati da anni alla lotta contro il fascismo; pur sentendomi sempre più vicino a loro, non so se mi sarei deciso a impegnarmi totalmente su quella strada: c’era in me un fondo troppo forte di gusti individuali, di indifferenza e di spirito critico per sacrificare tutto questo a una fede collettiva. Soltanto la guerra ha risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il terreno da molti comodi ripari e mettendomi brutalmente a contatto con un mondo inconciliabile. Credo che per la maggior parte dei miei coetanei questo passaggio sia stato naturale: la corsa verso la politica è un fenomeno che ho constatato in molte dei migliori, simile a quello che avvenne in Germania quando si esaurì l’ultima generazione romantica. Fenomeni di questo genere si riproducono ogni volta che la politica cessa di essere ordinaria amministrazione e impegna tutte le forze di una società per salvarla da una grave malattia, per rispondere a un estremo pericolo. Una società moderna si basa su una grande varietà di specificazioni ma può sussistere soltanto se conserva la possibilità di abolirle a un certo momento per sacrificare tutto a un’unica esigenza rivoluzionaria. E questo senso morale, non tecnico, della mobilitazione: una gioventù che non si conserva disponibile, che si perde completamente nelle varie tecniche, è compromessa. A un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di trasferire la loro esperienza sul terreno dell’utilità comune, ciascuno deve sapere prendere il suo posto in una organizzazione di combattimento…

tricolore italiano

Musicisti e scrittori dobbiamo rinunciare ai nostri privilegi per contribuire alla liberazione di tutti. Contrariamente a quanto afferma una frase celebre, le rivoluzioni riescono proprio quando le preparano i poeti e i pittori purché i poeti e i pittori sappiano quale deve essere la loro parte. Vent’anni fa la confusione dominante poteva far prendere sul serio l’impresa di Fiume. Oggi sono riaperte agli italiani tutte le possibilità del Risorgimento: nessun gesto è inutile purché non sia fine a se stesso. Quanto a me ti assicuro che l’idea di andare a fare il partigiano di questa stagione mi diverte pochissimo: non ho mai apprezzato come ora i pregi della vita civile e ho coscienza di essere un ottimo traduttore e un buon diplomatico ma secondo ogni probabilità un mediocre partigiano. Tuttavia è l’unica possibilità aperta e l’accolgo.

Se non dovessi tornare non mostratevi inconsolabili. Una delle poche certezze acquisite nella mia esperienza è che non ci sono individui insostituibili e perdite irreparabili. Un uomo vivo trova sempre ragioni sufficienti di gioia negli altri uomini vivi e tu che sei giovane e vitale hai il dovere di lasciare che i morti seppelliscano i morti. Anche per questo ho scritto a te e ho parlato di cose che forse ti sembrano ora meno evidenti ma che in definitiva contano più delle altre. Vi sarebbe stato difficile rivolgere la stessa esortazione alla mamma e agli zii e il pensiero della loro angoscia è la più grave preoccupazione che abbia in questo momento. Non posso fermarvi su una difficile materia sentimentale, ma voglio che conoscano la mia gratitudine: il loro affetto e la loro presenza sono stati uno dei fattori positivi principali nella mia vita. Un’altra grande ragione di felicità è stata l’amicizia, la possibilità di vincere la solitudine istituendo sinceri rapporti fra gli uomini. Gli amici che mi sono stati più vicini, Kamenetzki, Balbo, qualcuna delle ragazze che ho amato, dividono con voi questi sereni pensieri e mi assicurano di non aver trascorso inutilmente questi anni di giovinezza. -Giaime, L’ultima lettera di Giaime Pintor, Napoli, 28 novembre 1943.

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IGNOMINIA

Lo straniero non sapeva tutto

di quei monti e di quelle colline

non sapeva tutto di quelle pianure.

Lo straniero si smarriva

nei labirinti dei centri antichi

non trovava gli sperduti paesini.

Lo straniero non conosceva quel sentiero

né il sicuro nascondiglio

dove bambini giocarono e ragazzi si uccisero.

Il fascio littorio

Salò e le camicie nere

furono barbarie e distruzione.

Antigone salvò quei neri cadaveri

dalla furia dei perseguitati assassinati

nell’aldilà dove non si perdona.

L’eterna oscurità detenga le spie

e i servitori dei tiranni dannati

nell’infernale pozzo dei traditori.

Nessun civile perdono sia concesso

al morto non uguale al morto

solo rigoroso ricordo.

Ancora sanguinano innocenti ferite

e cumuli di coscienze tremanti

testimonianze perenni

per non ricadere nell’ignominia.

-Renzo Mazzetti-


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