Caro Stefano,
scrivo come a un amico o a un fratello o a un invisibile angelo caduto che mi accompagna fino dall'adolescenza: con voglia di verità e poca accondiscendenza alle forme, con quello strano amore, indulgente e un po' cieco, che i lettori riservano al loro scrittore preferito. Ti ho appena perdonato un brutto romanzo (Pane e tempesta), credo ti perdonerò anche La traccia dell'angelo, però a questo punto sono confuso, e allora scrivo.
Del primo ti posso dire la mia delusione, perché vive di poche, felici intuizioni e di materiale che sembra cucito dagli scarti di altre ispirazioni, perché è scritto quasi per obbligo, male e troppo in fretta. Del secondo, di questo, ti posso dire della meraviglia per un'ispirazione potente e meravigliosa – la traccia, l'angelo, la dipendenza, l'alienazione – e della mia costernazione per un testo scritto così male che ho pensato che, per qualche imperscrutabile ragione, la mia fosse una copia difettata.
E invece.
Stefano, io non lo so perché li hai scritti così e in quale situazione emotiva e biografica. Se avrai voglia me lo racconterai. Io quello che posso dire, a questo punto, è: fermati un momento a pensare a cosa è un tuo libro che esce, a quali e quanti cose dici e puoi ancora dire anche ai ventenni, e non solo ai poco meno che quarantenni come me. Perché il bello è che ne hai ancora, di voglia di immaginare, di entrarci nelle teste e sparigliare tutto. Dai, si vede. Però devi chiedere a te stesso cosa vuoi fare.
Se ti sei disinnamorato della forma-libro, e vuoi fare solo spettacoli dal vivo (ti ricordo in tour con Umberto, e m dicono che siete sempre fantastici), è già una scelta. Ottima, peraltro. Se davvero vuoi ancora scrivere, invece, cercati un editor che ti segua davvero, ti aiuti a uscire dalla fatica di mettere le tue creature e le tue storie in testi narrativamente coerenti e ti lasci solo il bello del raccontare.
Oppure aspetta, se puoi. Ferma questa deriva, stai scrivendo sott'acqua. Senza fiato, con la voce appena udibile sotto lo sciaquio delle pagine.
Io, nel frattempo, ti aspetto qui.
Il tuo nuovo affresco sarà più faticoso, più incerto, più ambizioso. Ma almeno sarà vivo. Come sono vivi tutti i personaggi che abbiamo conosciuto, e di cui abbiamo ancora un gran bisogno.
Il mondo è già brutto così, che palle se non sentiamo la tua voce.
E che dolore se arriva con un suono un po' falso, un po' vuoto.
Con affetto e riconoscenza – a.
Stefano Benni, La traccia dell'angelo – 2011 Sellerio