Sulla vicenda, comunque, niente, proprio niente da dire. Una cosa però vorrei dirla sul modo con cui i giornali italiani la stanno trattando, perché mostra, dopo altri segnali simili offerti in occasione dell'approvazione della legge di cui sopra, il modo con cui il dibattito sulla questione del diritto a sposarsi sia impostato in Italia, e come questo dibattito sia diverso da quello francese.Il termine con cui si definisce sui giornali la legge voluta dalla majorité di Hollande (come direbbe Carla Bruni) è "nozze gay". Ora, durante tutta la fase di discussione politica e mediatica di questa legge, e sin dalla presentazione del progetto stesso, l'espressione adottata in Francia è sempre stata "le mariage pour tous", "il matrimonio per tutti" - "per tutte e tutti", potremmo aggiungere, o, se volete proprio strafare, "il matrimonio per tutt*".
Non si tratta di un affare da poco. L'espressione rivela una divergenza essenziale. Presentare la legge parlando di "le mariage pour tous" non è solo un'intelligente scelta comunicativa (assai più intelligente del timido "le changement, c'est maintenant" della campagna presidenziale - oddio, noi avevamo "smacchiamo il giaguaro"...). È anche un modo di ricalibrare il dibattito sul tema, a mio avviso un modo più corretto. Parlare di "mariage pour tous" vuol dire fare i conti con la realtà. Prima di questa legge il diritto di sposarsi non era un diritto di tutti, ma solo di una parte dei cittadini. Qualunque sia stato il modo di concepire il matrimonio nel passato - essendo un'istituzione umana esso ha avuto una storia, e dunque una serie di forme già discontinue tra loro - oggi esso è sentito come un diritto che deve poter essere attribuito senza distinzioni di orientamento sessuale. Distinzioni che diventano discriminazioni. "Le mariage pour tous" ribalta la questione. Non si tratta di allargare un diritto di qualcuno a qualcun'altro, ma di considerare come quel diritto non sia tale se non è indipendente dall'orientamento e dal genere sessuale dei contraenti. Questa espressione ha poi un effetto anche su quanti si dichiarano contrari, perché impone loro di spiegare perché questo diritto deve essere solo di qualcuno. Si può essere contrari, ovviamente, ma occorre motivarlo sulla base dell'effettiva conseguenza che una non approvazione di quella legge avrebbe comportato, ovvero il fatto che "le mariage n'est pas pour tous".Parlare di "nozze gay" implica ovviamente afferrare un lato del problema, cioè il fatto che con tale legge si volesse garantire il diritto di contrarre matrimonio alle le coppie omosessuali. Ma significa anche pensare che stiamo ragionando su dei recinti, che sono dei recinti che son già stati fatti e soprattutto già stati chiusi, e allora perché dovremmo aprirli e farli comunicare tra di loro. "Le mariage pour tous" invece ci dice che c'è sempre stato un solo recinto, o forse nessuno, e che si tratta semplicemente di ammetterlo una buona volta. E non offendetevi per la metafora.Che è come dire che le cose non cambieranno mai finché non cambieranno le parole con cui le chiamiamo, e che dovremmo, per l'appunto, chiamare le cose con il loro nome. Cominciamo da questo, tanto il governo con le grandi intese e Scalfarotto con l'assistenza sanitaria per il suo compagno la legge sulle unioni di fatto non sembra la faranno neanche stavolta. Prepariamoci almeno a cambiare punto di vista.
da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com
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