Elizabeth Jane Howard con il secondo marito Kingsley Amis e Martin Amis, figlio di lui.
Post veloce, giusto per dimostrare che non è vero che sono pigra! Metto insieme tre libri di autori inglesi di cui magari non mi sono innamorata ma che certamente possono avere appassionati ammiratori.Comincio con Il lungo sguardo di Elizabeth Jane Howard (1923-2014), sposata in terze nozze con Kinglsey Amis e matrigna di Martin Amis. Confesso che non l'avevo neanche mai sentita nominare prima che un'amica di cui mi fido molto consigliasse con entusiasmo questo romanzo, sul quale non riesco a trovarmi d'accordo con lei. Uscito la prima volta nel 1956, è la storia di Antonia (ma il nome di battesimo lo scopriamo solo verso la fine, prima si chiama solo ed esclusivamente Mrs Fielding), narrata per blocchi separati di anni e avvenimenti, dal 1950 al 1926. Moglie tradita e forse abbandonata, donna scontenta ma non troppo inquieta, madre di due figli che non le piacciono granché, borghese acquiescente alle regole, la sua vita è scandita solo dai rapporti con i genitori prima e la famiglia d'acquisto poi. Ci sono incontri e rapporti ma poco amore, nessuna tenerezza. Storia di formazione a ritroso, storia di un matrimonio, storia di una donna bella e infelice, scritta da un autore onnisciente che alterna i punti di vista senza preavviso, creando l'effetto un po' disturbante di ficcare il naso negli affari degli altri (gli uomini di Antonia). La protagonista alla fine non è tanto un personaggio quanto una proiezione, e piacerà alle donne solo se non si irriteranno per l'evidente convinzione dell'autrice che lo scopo ultimo delle donne è piacere, compiacere e fare contenti gli uomini. Il lungo sguardo è un romanzo molto sapiente, molto scritto, molto costruito, sia nella struttura che nella scrittura tutta giocata su iperboli, contrapposizioni e ellissi che danno un effetto molto sofisticato ma per me un po' insopportabile. Non l'aiuta la traduzione di Manuela Francescon.
Chris Priestley
Tutt'altra storia con Chris Priestley, nato nel 1958, illustratore e autore di libri per ragazzi. Anche se questi due di cui si parla qui non mi sembrano affatto letteratura per ragazzi se non per la semplicità di impianto narrativo e di linguaggio; le storie sono cupe e votate a finali davvero senza speranza, più gelidi che agghiaccianti. A me è piaciuto parecchio Christmas Tales of Terror, calchi perfetti di racconti ottocenteschi del soprannaturale, tanto che viene da chiedersi perché leggere questi e non gli originali. Priestley non aggiorna le vicende, neppure l'ambientazione che rimane quella classica di grandi case in mezzo alla campagna, famiglie formali, servitori e differenze di classe. Si parla di divieti (mai cantare nei cimiteri! non strappate quei rami!), spazzacamini fantasma e giocattoli assassini, pupazzi di neve e cugini odiosi con cui trascorrere a malincuore i giorni di festa. Protagonisti sono sempre bambini che finiscono malissimo, e che in un certo senso se lo meritano perché non sono affatto innocenti. La scrittura semplice e la totale mancanza di artifizi letterari li rende una lettura molto godibile, veloce, gratificante per chi, come me, ama il genere. Certo Christmas Tales of Terror si dimentica immediatamente, non lascia né paura né immagini disturbanti né inquetudine. Un horror omogeneizzato, ben costruito e molto leggibile, ma forse un po' inutile visto che la letteratura inglese abbonda di esempi ben più sostanziosi. Non mi risulta che sia stato tradotto in italiano. Per quel che riguarda Le storie terrificanti di zio Montague dello stesso autore, vi rimando alla recensione di Silvia Treves su LN-LibriNuovi.net che ne parla molto meglio di quanto potrei fare io. Aggiungo solo che la traduzione di Chiara Manfrinato avrebbe bisogno di un'energica revisione.