30 agosto 2013 di Titti De Simeis
di Titti De Simeis
Giuseppe De Nittis, “Sulla panchina al bois” – olio su tela
Voci colorate, guinzagli penzoloni e cellulari inquieti. Magliette accaldate, scollate su pantaloni sfrangiati, rombi di moto al semaforo e mani di donna sguaiate. Sulla schiena delle panchine messaggi d’amore sbiaditi da inverni spietati e, su selciati sabbiosi, impronte di una fretta che non lascia affanni. Non c’è caldo tra quei vicoli di fronde attempate, nel passeggio di un prete al vespro e il gioco di un bimbo su altalene di legno stinto. Dietro l’ombra di un albero un giovane amore litiga per l’inesperienza di un sorriso mancato, sui gradini della chiesa un venditore d’Africa parla ad un cellulare oltre mare. Un clacson impaziente del verde insegue una musica da una radio impossibile, un vecchio in bicicletta barcolla tra pensieri indicibili mentre guarda, seduta su una soglia di fiori, una donna in ritardo sui suoi sogni avvizziti.
Su un sedile, lontano, un uomo mi osserva. Capelli sciolti dal vento e giacca di lino, maniche piegate sui gomiti e occhiali da sole poggiati sulla fronte. Con stanchezza elegante, si passa un braccio sulle tempie. Continua a guardarmi e mi invita, con un gesto della mano, a sedermi vicino a lui.
Mi avvicino, curiosa. Mi chiede di mettermi accanto. Mi offre un ventaglio di carta di riso, lo accetto.
- Volevo conoscerla – mi dice.
- Perché? – gli chiedo.
- Per raccomandarle tutto questo –
- Cosa? – mi sento attratta dalle sue parole ma indecisa se restare. Mi soffermo sui suoi occhi, mi tranquillizzano.
- L’ho vista arrivare. Ho seguito ogni suo gesto: le sue mani sul suo taccuino, tra i fogli disordinati di vento, tra le cose nella sua borsa, tra i capelli, nel suo sguardo assente in cerca di pensieri da fermare, sui tasti del cellulare, tra le sue labbra che mordono l’impazienza. Lei scrive -
- Anche lei? – gli rispondo.
- Sì. Ma lei è una donna. Conosco quello che ha fermato in quelle righe, l’ho guardato insieme a lei, con la stessa calma e con la stessa dolcezza, con la
stessa voglia di scriverlo. Vede, vengo in questo posto da anni, in differenti periodi, in diverse stagioni, con gente che cambia ogni giorno o resta la stessa per molto tempo. Mi piace sedere qui e lasciare che la vita mi scorra affianco con tutto quello di cui è capace, bello o brutto che sia. Oggi ho visto lei, per la prima volta. Ho visto le sue mani aggiustarsi i capelli, scartare una caramella con la golosità di una bambina e giocherellare con la carta rossa, come accompagnando un viaggio nella sua mente che, non ha nemmeno idea, quanto mi piacerebbe conoscere. Io l’ho spiata come non ho fatto mai in vita mia. E vorrei che lei si vedesse, che lei sentisse le emozioni che mi ha trasmesso. Ho viaggiato in tanti posti, ho visto tante foglie cadere ai miei piedi, seduto su mille panchine in cento giardini, ho respirato la vita di così tante persone, ho chiamato per nome un racconto dopo l’altro, ho aspettato di essere pronto per una firma da lasciare a chi vorrà, dopo di me. Sono stato un ladro di vita da quando avevo vent’anni. La rubavo e la chiudevo tra le parole cui affidavo il compito di darle la libertà, la stessa che io le avevo tolto. Lo facevo con spietatezza. A volte, invece, la salvavo dall’inconoscibile e da un silenzio ingiusto. E’ stato il mio lavoro, il mio amore inseparabile, il mio tormento, la mia insonnia, la mia paura e il mio sesto senso, il mio digiuno e la mia insaziabile sete.
Ho avuto un solo cruccio: non riuscire a trovare nei miei occhi e nel mio animo la grandezza e la semplicità delle parole che solo una donna può avere dentro. La schiettezza disarmante, la sua verità vestita di grazia, la setosità cucita sulla tragedia e la ruvidità carezzevole.
Lei può, lei deve.
Quello che ha visto qui, quello che annoterà in altri luoghi, dovunque e comunque lei vorrà, quello che ancora non ha scritto e nessuno ha letto mai, quello che le preme sul cuore o le scalpita tra le dita. Non lasci che si perda nessuno di quegli accordi che le tolgono il sonno. Una donna che scrive è un cielo che si schiude, una mano che accoglie e un’altra che dona, un desiderio che immagina e un altro che vive di passione indefinibile e rara. Lo faccia, lo faccia per me –
Accenna un abbraccio discreto, un gesto nobile che scansa ogni volgarità.
Si alza e si copre la testa con un berretto di paglia.
- Qual è il suo nome? – lo fermo con voce indecisa.
- Glielo dico ma lei non lo scriva – e sorride, i pensieri chissà dove.
Mi confida il nome come fosse un segreto d’argento. Mi prende la mano, la bacia e va via.
Ho incontrato un poeta.
Ha scritto per me una poesia senza titolo. E mi ha strappato una promessa. Quella di donarla ad ogni donna. Per lui.
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