Per una nuova cultura

Creato il 04 dicembre 2012 da Filelleni

Come rilanciare l’agonizzante universo della cultura, e in particolare dei nostri tanto amati “beni culturali”? Sicuramente non solo organizzando festival a tutto spiano, come ha già osservato Elle per Filelleni. I festival costano e molto, ha detto Elle: perché non destinare almeno una briciola delle risorse spese in “chiacchiere”, per finanziare borse di studio, aiutare imprese giovanili, stimolare idee innovative? In altri settori, l’incentivazione alla creatività dei giovani è giustamente una prassi consolidata. Perché non cercare e aiutare idee nuove che promuovano anche le nostre risorse culturali in modo diverso, nuovo e innovativo? In realtà, qualcosa si sta già facendo anche nel nostro mondo apparentemente sonnolento. A fine settembre Doppiozero ha lanciato il bando “cheFare” che assegnerà un premio di 100mila euro a un progetto di innovazione culturale con un impatto sociale significativo. Ha voluto credere che le risposte possibili alla crisi esistano già e basti farle emergere, aiutarle a realizzarsi. A bando concluso, ha ricevuto oltre 500 progetti: un vero successo. E ieri la Fondazione Italiana Accenture ha lanciato “Ars. Arte che realizza occupazione sociale” che assegnerà addirittura 1 milione di euro a chi saprà promuovere in modo innovativo proprio i “beni culturali” creando nuova occupazione. Già dal 2010 la Fondazione, attraverso la piattaforma partecipativa ideaTRE60 – il “luogo dove le idee accadono”, si propone di favorire l’incontro e la produzione di idee innovative in diversi settori e trasformarle in progetti concreti, ed è significativo che ora abbia deciso di puntare sui nostri beni culturali, un settore “che ha in sé un elevato potenziale per la creazione di servizi economicamente sostenibili, e con ampi margini di miglioramento rispetto agli attuali modelli gestionali”. In due parole: siamo ancora alla preistoria e non possiamo che migliorare. Comunque in entrambi i casi il messaggio è chiaro: in un mondo che cambia, anche l’industria culturale deve trovare modi nuovi di proporsi al pubblico o meglio ai pubblici, che sono sempre più vari perché oggi i social network consentono forme di aggregazione e integrazione prima impensate. Bisogna creare proposte diverse per esigenze diverse, e soprattutto creare nuove forme di connessione e collaborazione tra produttori e fruitori di cultura.

Da tempo vado dicendo che la risposta alla crisi non può essere solo una diversa azione di marketing, come si è andato più o meno dicendo nei vari festival. È il concetto stesso di “bene culturale” che deve cambiare: l’idea del monumento statico e isolato dalla vita reale sta finalmente tramontando e ora è tempo di “laicizzare i monumenti”, toglierli dal piedistallo e capire a cosa servono, qual è il loro ruolo nella nostra vita quotidiana. Solo se riusciremo a inserirli nuovamente nel contemporaneo, potremo salvarli. Solo stimolando ognuno a “usarli” come preferisce, sempre ovviamente nel rispetto del monumento e di tutti noi, potremo portare nei musei anche chi non li ha mai frequentati. E non è detto che sia un’impresa onerosa: nell’era dei social network, può essere anche a costo zero o quasi. Leggo sul blog Generazione di archeologi dell’instameet che si è tenuto sabato scorso a Firenze, organizzato da instagramersItalia: una passeggiata collettiva per le vie del centro con visita guidata a una mostra, passaggio per il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, e aperitivo finale. Con la scusa delle foto Instagram, non solo si sono portate al museo persone che non ci sarebbero mai entrate, ma sono anche state stimolate a rifletterci per creare la loro storia con le foto. Bello no? E da replicare mille volte e ancora mille. Instagram lo sta già facendo anche altrove. E voi?

Perché qui non si tratta solo di stimolare nuova imprenditoria o creare occupazione, che sarebbe già impresa nobilissima. La posta in gioco è ben più alta e tutti noi lo sappiamo. Riporto per brevità quanto scritto da Michele Serra nella sua Amaca di Repubblica del 28 novembre scorso:

L’agonia di un sistema – o di una civiltà – fa comunque parte della fisiologia della storia umana. La cosa davvero interessante da sapere e da capire, oggi, è dove sono, nel mondo e Italia, i semi della società futura e di una nuova economia; dove e perché nascono nuovi lavori e dunque nuovi posti di lavoro (quelli vecchi sono destinati ad assottigliarsi sempre di più); quali sono le persone e i luoghi che continuano a pensare il futuro e soprattutto ad architettarlo. Se fossi un leader politico cercherei in tutti i modi di scovare queste energie, organizzarle, metterle in rete. La grande utopia, per la politica di oggi, è provare a evitare che sia una guerra mondiale a segnare, come è quasi sempre accaduto, il passaggio d’epoca.

È imperativo: dobbiamo pensare un mondo diverso, comunicare, unirci, fare rete, ideare e produrre novità. Se sapremo pensarla e viverla in modo diverso, la cultura ci salverà.

Effe



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