Con sette artisti nati sotto il segno degli ’80 – Paola Angelini, Thomas Braida, Giulia Cenci, Teresa Cos, Tomaso De Luca, Giorgio Guidi, Vito Stassi ed Elisa Strinna – la Galleria Massimo De Luca inaugura la seconda collettiva di giovanissimi (fino al 28 dicembre 2012), in quella terraferma veneziana (Mestre), sempre più spesso al centro del dibattito sul contemporaneo, fucina di nuovi talenti, inaspettata officina dell’underground.
Esauriti i fasti della prima collettiva da poco conclusa – che portato al pubblico i lavori di Graziano Folata, Francesco Fonassi,
La proiezione del curatore, votato alla ricerca e promozione di giovani talenti sul territorio italiano, tesse una storyboard in divenire, un canovaccio di opere di giovani artisti che segnano la storia dell’arte cogliendole statu nascenti.
Nelle intenzioni di Massimo De Luca (nella cui collezione sono presenti i lavori del gruppo Gutaj e di Vanessa Beecroft), si coglie la volontà di innescare una nuova sfida al mercato italiano: riuscire a posizionare sul mercato opere di giovani artisti emergenti, allontanandosi da quei masterpiece che hanno la peculiarità di avere già un mercato di riferimento e degli acquirenti. Oltre le logiche di speculare compravendita, sempre più spesso distanti e slegate dall’idea stessa di artisticità e promozione della giovane creatività, massimo de luca rivela una profonda sensibilità nei confronti delle nuove tendenze , dell’ardito virtuosismo che lega gli affari al mecenatismo.
Dall’incontro tra queste due anime, legate in somma verso una direzione comune, si arricchisce un filone, prolifico e stimolante, in antitesi con la moda delle mostre sandwich che spinge verso una maggiore ricerca e comprensione del contemporaneo giovane.
Dai bestiari di Paola Angelini alle visioni secessioniste di Thomas Braida, dai lavori in situ di Giulia Cenci all’indagine umana di Teresa Cos, legando all’ecfrasi di Tomaso De Luca il riciclo di Giorgio Guidi, per giungere ai segni minimi di Vito Stassi e alle variazioni di Elisa Strinna, questa collettiva promette di scardinare il modo dell’arte così come siamo abituati a conoscerlo: un tempio sì ma molto più umano e comprensibile, vicino alle riflessioni di chi il domani lo costruisce oggi.