Percezione & Visione Critica della Realtà [Pre]Costituita

Creato il 19 agosto 2010 da Pedroelrey

Sergio Maistrello nelle conclusioni del suo libro, parlando della predisposizione del giornalista, afferma che la fase attuale “Non è necessariamente la fine del giornalismo e dell’editoria. E’, più probabilmente, la fine di tutto ciò che non si nutre avidamente di qualità, che non alimenta empatia, che non fa battere il cuore. E’ la fine della pubblicità che non è capace di farsi servizio; dell’editoria che seziona scientificamente il target per spremerlo meglio; del giornalismo che copre i fatti del mondo in modo distratto, superficiale, senz’anima”.

Il termine percezione deriva dal latino perceptio, che indicava l’atto e l’ effetto del percipere, cioè del percepire, del ricevere. Di regola, quindi, la percezione è vicina a processi mentali attivi come il ragionamento, i sentimenti e le emozioni.

In riferimento ai media ed al giornalismo, Giorgio Grossi definisce la professione giornalistica come “il ruolo socialmente legittimato ed istituzionalizzato per competenze riconosciute e riconoscibili all’interno di apparati produttivi specializzati a costruire la realtà sociale in quanto realtà pubblicamente e collettivamente rilevante”.

Secondo questa definizione, che indirettamente spiegherebbe anche il controverso ruolo dell’ordine dei giornalisti, i professionisti dell’informazione ed i media ufficiali avrebbero una forte responsabilità nello scegliere ciò che è notizia e nella trasmissione dell’informazione al pubblico di riferimento, ai cittadini.

Che la selezione avvenga è tautologico. I mezzi di comunicazione ed informazione per definizione hanno spazi ristretti [un certo numero di pagine, un minutaggio definito] che ipso facto li costringono ad una selezione delle informazioni da trasmettere. Che, altrettanto, questa selezione, influenzi in maniera sostanziale la percezione della realtà da parte della popolazione non rientra tra le ipotesi ma tra i fatti.

Lo conferma, anche, l’analisi della parcellizzazione della testata che viene effettuata nel testo di recentissima pubblicazione “Giornalismo e Nuovi Media”: “Il risultato della negoziazione giornalistica non è soltanto nel decidere quali notizie dovrebbero attraversare quel benedetto cancello e quali no, ma anche stabilire quali fatti siano più importanti e quali meno. Storicamente il giornale è prima di tutto una griglia di interpretazione della realtà, che attribuisce agli eventi il loro peso nell’economia complessiva dell’attualità: preferendo una testata a un’altra, il lettore aderisce, più o meno consciamente, a una specifica visione del mondo.

Il web per l’industria editoriale se, da un lato, ha creato il rischio tangibile di eccesso informativo [per quella fascia di popolazione che rientra negli “internauti”], dall’altro, ha allargato a dismisura il processo di disintermediazione generando un nuovo ecosistema dell’informazione che ha causato, che causa, la nota crisi della comunicazione pubblicitaria e dei media tradizionali.

Nel nostro paese sono proprio i quotidiani a soffrire di più con importanti cali delle diffusioni e versioni on line che, visti i numeri in gioco, non potranno mai essere che complementari, in termini di redditività, alla versione tradizionale cartacea per molto tempo ancora.

In una nazione, quale l’Italia, con un ristretto numero di lettori di quotidiani, il pubblico di riferimento, escludendo per semplicità sportivi e locali, dei “grandi quotidiani nazionali” diviene un’elite minoritaria che ha oggi, ancora più di prima, una forte capacità di decodifica dell’informazione che gli viene trasferita.

In questo scenario i quotidiani non hanno altra scelta se non quella di intermediare la disintermediazione favorendo una visione critica che armi e sproni il cittadino, il lettore, a combattere la battaglia all’interno dei propri confini rendendolo protagonista come avrebbe sempre dovuto essere.


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