Magazine Cultura

Perchè Angela Lansbury ha ragione riguardo al remake di “La Signora in Giallo” e altre considerazioni sui “reboot” e gli “ispirati da…”

Creato il 13 novembre 2013 da Fabioeandrea

Angela_Lansbury_(8356239174)b

“Penso che sia un errore usare lo stesso titolo, perché La Signora in Giallo (Murder, She Wrote) sarà sempre su Cabot Cove e il suo meraviglioso gruppo di persone che raccontavano le loro belle storie e si godevano quel pezzo di mondo insieme a Jessica Fletcher che è un personaggio davvero raro e di un’individualità unica… Per questo sono dispiaciuta che abbiano tenuto lo stesso titolo. Ne hanno tutti i diritti legali, sia chiaro, ma io sono dispiaciuta.”

Angela Lansbury ha dichiarato questo, esprimendosi su quanto sia opportuno riutilizzare il titolo della famosa serie televisiva della quale è stata il volto dal 1984 al 1996 e non potrebbe avere più ragione di così.

Perchè?

Innanzitutto ricordiamoci cosa significhi il termine remake:

Trattasi di una nuova produzione basata su di un telefilm, un film, uno spettacolo teatrale etc etc di successo o meno, allo scopo di farlo conoscere ad un nuovo pubblico e aggiornare l’opera sotto il profilo tecnico, del cast, e della regia, lasciando intatta la parte scritta della versione originale, dai personaggi alla storia fino alla singole scene.

Cos’è il nuovo Murder She Wrote: una serie televisiva che ha in comune con l’altra il fatto di avere come protagonista una scrittrice che risolve crimini…e il titolo.

Non ha altri elementi in comune con La Signora in Giallo, troppo pochi per definirlo un remake.

Ergo: non è un remake manco per il cazzo.

Allora sorge spontanea una domanda: perchè allora la NBC insiste nel presentarlo come tale?

Perchè così è possibile attirare l’attenzione del pubblico che seguiva La Signora in Giallo e conseguentemente alzare il numero di spettatori e quindi aumentare gli introiti generati dal nuovo Murder She Wrote, sfruttando l’inevitabile curiosità che suscita in genere un vero rifacimento di una famosa opera di intrattenimento.

Però resta il fatto che chiamarlo remake non lo renderà tale, esattamente come chiamare “limone” una scarpa non garantirà che ne possa venire fuori una buona limonata.

Ma questo è ciò che fa il marketing: rende accessibile al grande pubblico certi particolari vocaboli dal suono accattivante, ma non il loro significato che è volontariamente deformato o assente, sperando che qualcuno caschi nel tranello di far passare un prodotto per uno che alla prova dei fatti è differente.

Così la scarpa viene tramutata in limone oppure-giusto per espandere il panorama-un film/telefilm/videogioco/fumetto ispirato da un altro diviene un reboot, nonostante siano due espressioni dal significato differente.

Un’opera ispirata da infatti attinge da un’altra per usarne solo alcuni elementi, all’interno di una storia differente e con personaggi simili a volte con nomi identici a quelli presenti in quella ispiratrice per strizzare l’occhio agli appassionati, mentre un reboot è un’opera che ripristina tutti gli elementi di partenza o fondativi di un’altra, dai personaggi alla premessa fino alla storia, al fine di utilizzarli per prendere nuove direzioni nello sviluppo degli intrecci, che porteranno ad un differente finale rispetto a quello della versione precedente.

Vi faccio un esempio: all’inizio di quest’anno è uscito in tutti i negozi il videogioco DmC: devil may cry, sviluppato dal talentuoso studio inglese Ninja Theory e presentato dall’editore Capcom come reboot della serie Devil May Cry arrivata con risultati fra l’ottimo e l’appena sufficiente ad un quarto capitolo nell’anno 2008.

Ma in realtà era ispirato da, non un secondo avvio della serie poichè non riprendeva la medesima premessa, la storia e i personaggi dell’originale del 2001:

Alcuni elementi chiave sono presenti, ma altri sono totalmente assenti.

Questo sostituire parole e significati di particolari termini è intenzionale, ma non sempre funziona.

Il già citato DmC(reboot), Total Recall e Red Dawn (entrambi remake del 2012) sono casi emblematici di come il modo presentare un certo prodotto usando certi termini accattivanti da parte della divisione marketing di studi/editori/distributori non sia più una garanzia di ritorno monetario contemporaneo al gradimento del pubblico o vice versa.

Che i giocatori e gli spettatori si siano accorti finalmente del trucco che nascondeva l’importuno tentativo di vendergli qualcosa che nei contenuti differiva rispetto all’originale?

Andrea Spiga

Non è incredibile?L’articolo prende spunto da una dichiarazione di Angela Lansbury, ma parla in buona parte di tutt’altro.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :