Una domanda che mi pongo da molto tempo è questa: perché la gente ha smesso di scrivere e di leggere poesie? Perché questo genere letterario è considerato vecchio, buono solo per vecchi romantici e nostalgici? Il declino che la poesia subisce da molti anni non penso sia dovuto solamente al fatto che i poeti più grandi sono scomparsi da molto tempo mentre di grandi romanzieri – o presunti tali solo perché baciati dal successo editoriale – ne vengono fuori in modo abbastanza regolare, riuscendo a raccogliere un’elevata quantità di pubblico intorno a sé. Se fosse solo questo il problema i grandi poeti del passato si continuerebbero a leggere senza troppi problemi e la loro arte che si protrae indiscutibilmente nel corso del tempo potrebbe essere un grande stimolo anche per le giovani generazioni. Eppure tanto i poeti del passato come quelli del presente viaggiano al limite della sopravvivenza nella coscienza collettiva e sembra impossibile arrestare questa caduta di perdita di capacità di leggere ed apprezzare un modo di scrivere alternativo e molto più forte in certi casi rispetto alla prosa.
Fino a pochi decenni fa la lettura della poesia non dava segni di cedimento perché si stava vivendo una grande stagione di scoperta della cultura e d’innovazione artistica, almeno in Europa e negli Stati Uniti. All’opera c’erano i grandi artisti del Novecento ed erano appena giunti al culmine della loro fama quelli del Settecento e dell’Ottocento e la lettura di tali opere portava nelle persone una grande curiosità, immediatamente seguita dalla voracità di leggere e capire cosa era stato e cosa veniva scritto di tanto importante e bello. Il pensiero comune tra la gente comune che vigeva allora era che fosse necessario farsi una cultura per affrontare nel modo migliore la vita e per entrare nella società, magari cambiandola secondo i propri ideali e le proprie aspirazioni; e la poesia poteva dare un grande aiuto per il formarsi di una coscienza personale con la quale rapportarsi con le persone.
Io penso che il massimo sviluppo di questo pensiero si sia avuto tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, soprattutto tra i ceti sociali più bassi. Allora era pieno di persone che dal punto di vista degli studi scolastici erano molto indietro perché per vari motivi – la guerra finita da poco, il lavoro cominciato in età giovanissima – avevano dovuto abbandonare la scuola e non avevano avuto la possibilità di farsi un proprio pensiero, una propria coscienza, una propria visione del mondo. Ma tali persone erano coscienti della propria condizione di illetterati dal punto di vista puramente scolastico e tale consapevolezza li spingeva a ricercare da soli con i propri mezzi quella cultura della quale in giovane età gli era stata negata. Cominciarono a leggere di tutto: i grandi capolavori della letteratura prosaica e poetica, libri e riviste sui più svariati argomenti, solamente guidati da quella grande voglia di comprendere se stessi e la società anche attraverso una continua lettura del sapere universale. Io penso che la poesia abbia svolto un ruolo fondamentale perché a differenza di un romanzo dà la possibilità al lettore di entrare molto più a fondo del suo intimo, di riflettere molto di più sulla propria condizione qualunque essa sia, perché il poeta trova molte più difficoltà a fingere scrivendo un breve componimento a differenza di un romanziere che scrive un libro d’avventura di centinaia di pagine. La poesia è forse la forma di letteratura più sincera che ci possa essere perché in poche righe riesce ad esprimere un pensiero dandogli anche un suono dolce dal punto di vista musicale, impone di dosare bene le parole, riflettere su di esse dopo aver pensato molto su se stessi.
Perché tale genere letterario così magico e potente è venuto in maniera così rapida e tragica a mancare? La causa si potrebbe trovare nei cambiamenti drastici che ha vissuto la nostra società negli ultimi decenni. La distruzione delle ideologie, la nascita del pensiero comune basato esclusivamente sul successo del singolo che deve avere solo per essere osannato dalla massa che vuole certi schemi ai quali il singolo si deve adottare, ha portato la poesia ad essere un genere del tutto inutile, privo del minimo significato. Sembra che non abbia più senso per qualcuno scrivere o leggere un qualcosa di tanto breve come la poesia nel quale l’artista si mette a nudo ed esprime il suo pensiero su vari temi che non sono fissati da schemi pre-confezionati ma che sono semplicemente il libero frutto del suo pensiero ed il suo desiderio è portare il lettore a riflettere su ciò che ha scritto. Ma se la massa in generale ti vuole a sua immagine e somiglianza con i suoi schemi ed i suoi sentieri già tracciati, che senso ha riflettere sul pensiero personale di qualcuno e quindi contrapponendolo a se stessi se il cammino è già indicato e prendere un’altra strada rischierebbe di portare ad una condanna generale? Molto meglio evitare tanti pensieri e tante riflessioni adattandosi a quello che passa in tale momento, dimenticando tutte quelle cose vecchie come la poesia che ormai nessuno più segue perché ha smarrito la sua utilità.
Se parlo di tale argomento è perché non voglio cedere a questa visione ma è sotto gli occhi di tutti a cosa stiamo arrivando: ad un’uccisione completa della capacità di pensare e di riflettere, alla completa omogeneizzazione della società che sta perdendo ogni sua singolarità ed ogni sua diversità che dovrebbero essere due perni fondamentali sui quali dovrebbe muoversi il progresso culturale e morale di un popolo.
Marco Paparella
L'AUTORE DI QUESTO GUEST POST
Marco Paparella è nato a Sarzana (SP) il 13 Novembre del 1992 e attualmente vive a Roma dove frequenta il corso di Storia Moderna e Contemporanea all'Università La Sapienza.
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