Nei ritagli di tempo butto un’occhiata ai racconti della terza raccolta della #trilogiadelleerbacce. È il momento della scelta: vale a dire quali includere, e quali escludere. Il bello è che ho inserito una storia, e dopo qualche giorno mi sono reso conto che non poteva starci.
E l’ho esclusa.
Per quale motivo?
La realtà è ingombrante!
Dubito che tu sia davvero interessato al mio lavoro, ma facciamo finta di niente e andiamo avanti. Sì insomma, mi illudo che te ne importi.
Che cosa diavolo è successo? Cosa non andava nella storia?
Non è semplice da spiegare (lo è invece; scrivo così per darmi un tono, e tu allora pensi: “Capperi! Che persona giudiziosa! Sì, insomma, proprio come si deve!”).
Un dettaglio reale, che mi ha indotto a mettere da parte la storia. Perché, d’accordo: la storia era finita. Era chiaro il suo senso. Ma avevo forzato la mano. Avevo peccato di presunzione. L’onestà passa anche attraverso la considerazione della realtà. Questo vuol dire per esempio che se una scena si svolge in uno spazio pubblico, anche se al chiuso, chi scrive non può far finta che non ci sia nessuno, a parte i protagonisti, e così tutto avviene come deve avvenire. Non è credibile. Quindi?
Zac!
Il nocciolo della questione è che esiste sempre il rischio di non tenere nel giusto conto la realtà. Sei abbagliato dalla storia, dalla preda, e non capisci che una storia è, appunto, realtà. Non puoi far finta di nulla, e badare solo ai dialoghi, e al finale.
I dettagli, appunto.
E allora? Occorre per prima cosa pensarci su. Vigilare sempre. E fare delle scelte. Perché la realtà è ingombrante.