Ma come? Ecco lo scenario immaginato dall’autore statunitense: la Russia, che già con Eltsin nel 1999 in occasione della campagna di bombardamenti della Nato contro la Jugoslavia ha profferito terribili minacce e che con Putin meno che mai si rassegna alla disfatta subita nella guerra fredda, finisce con il provocare una guerra che da convenzionale diventa nucleare e che conosce una progressiva scalata anche a questo livello. Ed ecco i risultati: negli USA le vittime non si contano; la sorte dei sopravvissuti forse è ancora peggiore sicché, per accorciare le sofferenze, occorre somministrare loro la morte mediante eutanasia; il caos è totale e a far rispettare l’ordine pubblico può essere solo la «legge marziale». Ora vediamo quello che succede nel territorio del nemico sconfitto, e colpito non solo dagli USA ma anche dall’Europa e in particolare da Francia e Gran Bretagna, esse stesse potenze nucleari:
«In Russia, la situazione sarà ancora peggio [che negli USA]. La piena disintegrazione dell’Impero Russo, iniziata nel 1905 e interrotta solo dall’aberrazione sovietica, giungerà finalmente a compimento. Scoppierà una seconda guerra civile russa e l’Eurasia, per decenni se non più a lungo, sarà solo un miscuglio di Stati etnici devastati e governati da uomini forti. Qualche rimasuglio di Stato russo potrebbe riemergere dalle ceneri ma probabilmente sarà soffocato una volta per sempre da una Europa non intenzionata a perdonare una così grande devastazione».
Nel titolo l’articolo qui citato fa riferimento solo alla possibile guerra nucleare tra Stati Uniti e Russia, ma chiaramente l’autore non si accontenta delle mezze misure. Il suo discorso prosegue evocando una replica in Asia dello scenario appena visto. In questo caso non è Mosca ma Pechino a provocare la guerra prima convenzionale e poi nucleare con conseguenze ancora più terrificanti. Il risultato però è lo stesso: «Gli Stati Uniti d’America in qualche modo sopravvivranno. La Repubblica Popolare di Cina, analogamente alla Federazione Russa, cesserà di esistere in quanto entità politica».
È una conclusione rivelatrice, che involontariamente getta luce sul progetto o meglio sul sogno accarezzato dai campioni della nuova guerra fredda e calda. Non si tratta di respingere l’«aggressione» attribuita alla Russia e alla Cina, e non si tratta neppure di disarmare questi paesi e di metterli nella condizione di non nuocere. No, si tratta di annientarli in quanto Stati, in quanto «entità politiche». Almeno per quanto riguarda la Russia, l’autore si lascia sfuggire che la sua «disintegrazione» è il risultato di un processo benefico iniziato nel 1905, disgraziatamente interrotto dal potere sovietico ma che potrebbe «finalmente» (finally) giungere alla sua conclusione. A ritardare la «disintegrazione» totale della Russia che s’impone è stata solo l’«aberrazione» del paese scaturito dalla rivoluzione d’ottobre. Sembrerebbe che l’autore statunitense qui citato esprima disappunto e delusione per la disfatta subita dalla Germania nazista a Stalingrado.
Una cosa è certa: distruggere la Russia quale «entità politica» era il progetto caro al Terzo Reich. E dunque non è un caso che la NATO, almeno in Ucraina, collabori apertamente con movimenti e circoli neonazisti. Distruggere la Cina quale «entità politica» era invece il progetto caro all’imperialismo giapponese, emulo in Asia dell’imperialismo hitleriano. E, dunque, non a caso gli Stati Uniti rafforzano il loro asse con un Giappone che rinnega la sua costituzione pacifista e che è impegnato in un forsennato revisionismo storico, con la riduzione a bagattella o quasi di uno dei capitoli più orribili della storia del colonialismo e dell’imperialismo (i crimini di cui si è macchiato l’Impero del Sol Levante nel tentativo di assoggettare e schiavizzare il popolo cinese e altri popoli asiatici).
L’articolo che ho lungamente citato è sintomatico. Già in base alla dottrina proclamata da Bush jr, gli USA si attribuivano il diritto di stroncare tempestivamente l’emergere di possibili competitori della superpotenza allora del tutto solitaria. Chiaramente tale dottrina continua a ispirare nella repubblica nordamericana circoli militari e politici pronti a correre il rischio anche di una guerra nucleare.
È a questa minaccia che intendono rispondere – finalmente! – l’appello e la campagna «No Guerra No Nato. Per un paese sovrano e neutrale». È incoraggiante che in questa iniziativa siano impegnate personalità illustri con un diverso orientamento politico e ideologico. In difesa della pace internazionale e della salvezza del paese è possibile promuovere uno schieramento assai largo.
Sennonché, come accennavo all’inizio, ci imbattiamo talvolta in riserve ed esitazioni che si manifestano in ambienti inaspettati e insospettati e che fanno persino riferimento al movimento comunista. Si tratta di riserve ed esitazioni di cui non si comprende bene il senso. Per cominciare a organizzarci contro la guerra dobbiamo attendere che diventi una realtà la prospettiva di distruzione e di morte su larghissima scala che emerge dalla stampa internazionale e in primo luogo statunitense? Sarebbe un atteggiamento irresponsabile e suicida. È vero, le forze che hanno compreso la reale natura della NATO e che sono pronte a lottare contro di essa sono oggi piuttosto ridotte. Ma da questa constatazione discende non la legittimità del rinvio del nostro impegno nella lotta per la pace, ma al contrario la sua assoluta urgenza. Abbiamo una grande storia alle spalle. A suo tempo Lenin ha lanciato la parola d’ordine della trasformazione della guerra in rivoluzione allorché, mentre in diversi paesi europei, accecati per qualche tempo dall’ideologia dominante, i giovani correvano in massa festanti e entusiasti all’arruolamento volontario come andando incontro a un appuntamento erotico. Ovviamente, la situazione odierna è quanto mai diversa, ma non c’è alcun motivo per abdicare al compito di diffondere la consapevolezza dei pericoli di guerra e di denunciare la politica di guerra della NATO. Sin d’ora è possibile e necessario contestare e confutare una per una le manipolazioni dell’industria della menzogna che è al tempo stesso l’industria della propaganda bellica; sin d’ora è possibile e necessario contrastare ogni misura politica e militare che minaccia di avvicinarci alla catastrofe: E tutto ciò mai perdere di vista l’obiettivo strategico dell’espulsione della NATO dal nostro paese.
Le riserve e le esitazioni nei confronti dell’appello e della campagna contro la NATO non hanno alcuna plausibilità politica e morale. C’è però una spiegazione, che non è una giustificazione. Almeno in Europa occidentale la dura sconfitta subita dal movimento comunista tra il 1989 e il 1991 ha comportato un terribile impoverimento non solo teorico ma anche etico-politico. Il primo è largamente noto, e io ho cercato di contribuire a chiarirlo in primo luogo con i miei libri sulla «sinistra assente» e sul «revisionismo storico». Ora è sull’impoverimento etico-politico che vorrei dire qualcosa: anche gli intellettuali che non si associano al coro impegnato a infangare la «forma-partito» si rivelano spesso incapaci di agire in modo associato. Sembrano aver dimenticato il significato dell’agire politico e soprattutto di un agire politico che intenda trasformare radicalmente la realtà esistente e che pertanto è costretto a scontrarsi con un apparato di manipolazione più poderoso che mai. Sappiamo dai nostri classici che la piccola produzione è il terreno sul quale attecchisce l’anarchismo. Gli odierni sviluppi della comunicazione digitale comportano di fatto un forte rilancio della piccola produzione intellettuale. Ed ecco che, nel clima venutosi a creare in seguito alla sconfitta del 1989-1991 e al connesso impoverimento etico-politico, non pochi intellettuali anche di orientamento comunista tendono a rinchiudersi ciascuno nel suo blog e nel suo sito. In questo blog e in questo sito il singolo intellettuale ha da misurarsi solo con se stesso, senza imbattersi nelle contraddizioni e nei conflitti che sono propri dell’agire politico in quanto agire associato.
Abbiamo allora blog e siti di orientamento comunista, non poche volte pregevoli e talvolta assai pregevoli, ma assai spesso in misura diversa affetti da quella vecchia malattia che è l’anarchismo da gran signore, resa più acuta e più difficilmente curabile dall’impoverimento etico-politico cui ho accennato, e ora in grado di manifestarsi senza più ostacoli grazie ai miracoli della comunicazione digitale. Per ognuno di questi intellettuali il proprio blog e il proprio sito sono al tempo stesso il partito e il giornale in quanto tali. E questi intellettuali si atteggiano in tal modo per il fatto che – essi lamentano – mancano il partito e il giornale.
Soprattutto per quanto riguarda il primo punto, ai lettori di questo blog sono già note le mie prese di posizione pubblica, che qui non ho bisogno di ribadire. Voglio aggiungere solo un’osservazione. Se i diversi siti e blog di cui ho parlato s’impegnassero a condurre la campagna «No Guerra No Nato. Per un paese sovrano e neutrale», denunciando giorno dopo giorno i piani di espansione e di guerra della Nato e le sue manovre per destabilizzare con ogni mezzo (anche facendo ricorso all’ISIS) i paesi che a tutto ciò si oppongono, allora sì che avremmo compiuto un passo concreto e importante in direzione della fondazione di un giornale nazionale (nel senso leninista e gramsciano del termine). E se nel corso di questa campagna un numero considerevole di intellettuali e di militanti riscoprisse la voglia e il senso dell’agire politico, che è sempre un agire associato soprattutto quando persegue obiettivi di trasformazione radicale della realtà politico-sociale, allora avremmo fatto un passo concreto e importante in direzione della soluzione del problema del partito per la quale tutti siamo chiamati a impegnarci.
[DL 21 maggio 2015].