Perché etichettare i romanzi come femminili?

Creato il 06 settembre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Gabriella Parisi

"Non leggo romanzi. Di rado sfoglio un romanzo. Non crederà che io legga spesso romanzi. È davvero bello per essere un romanzo." Questa è la solita cantilena. "E che cosa state leggendo signorina?" "Oh! È solo un romanzo!" risponde lei, mentre posa il suo libro con affettata indifferenza, o con momentanea vergogna. "È solo Cecilia, o Camilla, o Belinda", o, in breve, solo un'opera in cui si dispiegano gli enormi poteri dell'intelletto, in cui la massima conoscenza della natura umana, la più felice descrizione delle sue sfaccettature, la più vivida dimostrazione di spirito e intelligenza, sono trasmesse al mondo nel linguaggio più ricercato.
Jane Austen L'Abbazia di Northanger, capitolo 5 traduzione di Giuseppe Ierolli.

Questo diceva due secoli fa Jane Austen. Il romanzo era un genere letterario inventato da poco; non c’era tutta la varietà su cui si può contare ai giorni nostri. Tuttavia, i romanzi erano considerati una lettura di evasione, meno profondi e meno ricchi di cultura dei classici latini e greci, della poesia, dei saggi e dei libri di storia e filosofia. Naturalmente leggere libri all’epoca era una delle poche forme di studio: non esisteva un’istruzione obbligatoria e spesso i giovani — dopo brevi periodi in istituti — continuavano il loro percorso di studio in casa, proprio grazie ai libri. Per questo motivo, la lettura di romanzi, che non fornivano notizie utili riguardanti storia, geografia o dottrine morali, era considerata una perdita di tempo di cui doversi quasi vergognare. Leggere, dedicare tempo prezioso alla lettura di evasione era dunque un privilegio di un determinato ceto sociale e — di solito — una pratica squisitamente femminile.

Ma dove voglio andare a parare con questo discorso ai giorni nostri, in cui la lettura dei romanzi è — al contrario — un “piacere mentale” che tutti possono concedersi, se solo lo volessero, una chiave di arricchimento del bagaglio culturale?

Comincio col dire che l’idea per questa mia — chiamiamola così — piccola polemica è nata dalle parole impresse sul retro di copertina di un libro, che recitava:

Una storia impetuosa che ha conquistato le lettrici di tutto il mondo.

Quando ho letto il libro ho pensato che non c’era alcun motivo perché quel libro non potesse conquistare anche i lettori di tutto il mondo! Non sto parlando di chick-lit, romance o qualsiasi altro genere di letteratura prettamente femminile (in quel caso l’etichettatura ci starebbe anche, sebbene non si possa assolutamente fare mai di tutta l'erba un fascio!) Sto parlando di un bel libro di generica narrativa, con accurati riferimenti storici. Perché la casa editrice si è negata una fetta di acquirenti parlando di lettrici e non di lettori in generale, ricadendo nella dicotomia uomo-donna? Forse perché il libro era scritto da una donna? Perché parlava d’amore? Eppure ho letto libri simili scritti da uomini e letti da uomini.


Nei paesi anglosassoni il problema non si pone: reader è una parola unisex e nessun editore si sognerebbe di aggiungere l’aggettivo female (femminile), alienandosi una metà dell’universo dei lettori. Infatti al momento su Goodreads c’è un Gruppo di Lettura proprio del libro in questione, con discussioni a cui partecipano indiscriminatamente sia uomini che donne. E se un incauto traduttore di Jane Eyre di Charlotte Brontë traducesse le invocazioni al reader, che la protagonista-narratrice compie nell’arco del racconto, con lettrice anziché lettore? Come suonerebbe la frase «Reader, I married him.», che conclude il libro, se diventasse «Lettrice, l’ho sposato.»? Sembrerebbe un sacrilegio, vero? 

È innegabile che gli uomini rifuggano da un certo genere di letteratura. Si vergognerebbero come ladri a farsi sorprendere con un libro evidentemente femminile fra le mani, quasi che questo possa svilire la loro virilità (eppure quanto potrebbero imparare sulle donne leggendo certi libri!) Quindi nel dubbio meglio evitare quei libri che sono stati qualificati come libri da femmine, e comunque — a meno che non siano rinomati classici o libri riconosciuti come unisexmeglio schivare scritture svolazzanti, colori decisamente muliebri, copertine romantiche e autori di sesso femminile

Per quanto mi riguarda, sono abituata a sostenere sguardi e commenti pressoché dispregiativi da uomini — che magari non leggono niente, proprio come John Thorpe ne L’Abbazia di Northanger, tutt’al più Tex! — alla vista di un libro nelle mie mani, per il solo motivo che la sua copertina ha un’aria vagamente romantica, o che il nome dell’autore che vi troneggia in cima è smaccatamente femminile. Ma ho sempre pensato: «Peggio per loro, si perdono una metà — forse la migliore — della letteratura mondiale per uno stupido pregiudizio!»

 

D’altronde è risaputo: le scrittrici dell’Ottocento per farsi prendere sul serio furono costrette a utilizzare pseudonimi maschili. Mary Anne Evans scrisse tutti i suoi romanzi sotto il nome di George Eliot. Le sorelle Brontë pubblicarono con gli pseudonimi di Currer, Ellis e Acton Bell i loro libri, che vennero letti e apprezzati sia da uomini che da donne, sebbene oggi — essendo stato svelato l’arcano — la metà maschile del pubblico storca il naso, considerandoli romanzi per donne. Chissà cosa sarebbe successo se i veri nomi delle autrici fossero rimasti un segreto. Forse Cime Tempestose, un romanzo dalle tinte violente, ricco di passioni brutali e quasi privo di compassione e dolcezza (come si converrebbe a un romanzo scritto da una donna), sarebbe apprezzato ancora di più. Esso viene considerato uno dei tanti casi letterari inglesi, dal momento che molti critici ancora non si capacitano che esso sia stato scritto da Emily Brontë (che era una zitella schiva e solitaria, per di più!). 

Recentemente ho letto La fattoria delle magre consolazioni di Stella Gibbons e mi sono divertita enormemente con la sua satira sul mondo letterario, in particolar modo, quando Flora, la protagonista, scopre che Mr Cymice sta scrivendo una biografia di Branwell Brontë:

“E che genere di libri scrive?” chiese. “Proprio ora ne sta facendo uno su un altro giovanotto che scriveva libri, e poi le sue sorelle hanno fatto finta di essere state loro a scriverli, e poi sono morti tutti di consunzione, povere creature.”  “Ah! Una biografia di Branwell Brontë,” pensò Flora. “Avrei dovuto immaginarlo. Di recente c’è un malcontento crescente tra gli intellettuali maschi all’idea che una donna abbia scritto Cime tempestose. Sapevo che prima o poi uno di loro avrebbe prodotto qualcosa del genere. Bene, devo solo evitarlo, tutto qua.”

Che sarebbe accaduto, dunque, se uno dei più bei romanzi d’amore — ma non solo — degli ultimi anni, Un giorno, non fosse stato scritto da David Nicholls ma da una donna? Avrebbe avuto il successo universale che ha riscosso? Gli uomini lo avrebbero letto sui treni, sugli autobus, in spiaggia — come, effettivamente è accaduto —, se avesse avuto una copertina più sdolcinata — magari quella con Anne Hathaway e Jim Sturgess dell’edizione successiva alla trasposizione cinematografica — e avesse riportato in copertina il nome di un’autrice
Insomma, non voglio dire che la narrativa femminile non esista. Esiste, eccome. Ce n’è di buona e di cattiva, esattamente come accade per quella prettamente maschile (sebbene le donne, molto più intelligentemente, non si precludano mai la possibilità di un buon libro, a prescindere dalle generalità dell’autore). Semplicemente voglio dire che esistono dei libri che non andrebbero etichettati a priori, di cui non importa il sesso di chi li ha scritti e che sarebbe un peccato venissero negati a chi li potrebbe apprezzare, solo perché sono stati classificati in modo errato.
Ma, in definitiva, suppongo che questo articolo non riesca ad avere un minimo di credibilità, dal momento che è stato scritto da una donna!


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