Perché Hong Kong sta lottando nelle strade

Creato il 30 settembre 2014 da Milleorienti

Manifestazione per la democrazia a Hong Kong

Hong Kong ribolle, e la Cina si preoccupa. Da giorni si susseguono le notizie di occupazioni di strade e resistenza nonviolenta da parte di studenti e seguaci del movimento Occupy Central. I media italiani ne parlano in vario modo ma non sempre presentano i fatti in modo totalmente corretto. Un esempio? Qui potete leggere un bell’articolo di cronaca di Ilaria Maria Sala pubblicato sul quotidiano La Stampa, che ha però un titolo fuorviante: “Hong Kong non cede: siamo il  nuovo Tibet». Il paragone con il Tibet in realtà è poco azzeccato.

A Hong Kong non c’è mai stata un’occupazione militare del territorio, con successiva immigrazione di popolazione Han dalla Cina, come avvenne in Tibet. Hong Kong è una città cinese, tornata pacificamente  alla Cina dopo essere stata colonia britannica dal 1842 al 1997. E’ una città vivace, ricca e molto affascinante (MilleOrienti l’ha raccontata qui) che oggi vuole semplicemente tutelare il suo status di democrazia, sancito dall’accordo fra britannici e cinesi al momento del ritorno della città alla Cina. L’accordo in vigore è questo: “un Paese, due sistemi”. Significa che Hong Kong fa parte della Repubblica Popolare Cinese ma che questa rispetta la diversità (politica, economica e culturale) della città, il suo sistema liberale differente rispetto a quello attualmente in vigore in Cina.

Tutto ciò fino ad ora. Ora infatti la situazione sta cambiando in vista delle elezioni politiche che si terranno a Hong Kong nel 2017. La Cina Popolare ha promesso che i cittadini di Hong Kong potranno eleggere il proprio chief executive (cioè il governatore) finora nominato dal governo centrale, ma ha stabilito che i candidati verranno scelti da una commissione dell’esecutivo. Insomma un sistema elettivo i cui candidati siano in partenza già graditi a Pechino. Gli abitanti di Hong Kong vogliono invece che le elezioni siano davvero libere, senza questo “setaccio” iniziale.

Pechino difficilmente cederà, perché teme che tali rivendicazioni di Hong Kong (e magari in futuro anche da un’altra città a statuto speciale, Macao, ex colonia portoghese) possano “contagiare” altre città cinesi e spingerle a chiedere maggiore autonomia. Ma anche Hong Kong difficilmente cederà, perché una perdita di autonomia ne stravolgerebbe l’identità politica mettendone a rischio il dinamismo economico e sociale.

Intanto però la solidarietà a Hong Kong sta diffondendosi in tutti i continenti, con manifestazioni nelle principali metropoli del mondo: ecco cosa ne scrive il South China Morning Post, autorevole quotidiano di Hong Kong .
Ovviamente, anche la comunità degli affari si preoccupa, perché l’instabilità politica danneggerebbe gli scambi economici in questa fondamentale piazza finanziaria dell’Asia. Il futuro appare oscuro, dunque, a chi (come me) ama la splendida Hong Kong. Non resta che sperare in un po’ di realismo da parte del governo di Pechino, che afferma di voler perseguire una “politica dell’armonia sociale”. E naturalmente testimoniare in ogni sede la propria solidarietà a Hong Kong.

Messaggi pro-democrazia a Hong Kong su un muro di Sidney, Australia


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