Mentre i liberi pensatori, che dovrebbero temere la morte come la peste perché per loro non rappresenta una transizione ma una fine, muoiono in modo molto più dignitoso e sereno, forse per smentire il logoro cliché che la religione consola. La mia morte, per esempio, sarà esemplare. Un momento prima di esalare l’ultimo respiro, dirò ai testimoni: “Non ho paura della morte. Perché dovrei? Ero morto miliardi di anni prima di nascere e non ho sofferto affatto.” Veramente è una frase di Mark Twain, ma fingerò di averla inventata io.
E i cristiani non sono soltanto terrorizzati dalla morte, ma si oppongono al suicidio assistito. Avete il diritto di eutanasizzare un cane o un gatto sofferenti (anzi, se non lo faceste, potrebbero condannarvi per crudeltà). Ma se appartenete alla specie Homo Sapiens e fate la stessa cosa con un vostro simile in un paese che non sia la Svizzera o l’Olanda, rischiate di finire ingalera. Perché questa discriminazione? Essenzialmente per colpa dei cristiani.
C’è molta differenza fra farsi togliere l’appendice e farsi togliere la vita? No, se dovete morire inevitabilmente e se credete sinceramente alla vita dopo la morte. Se lo credete, per voi la morte è soltanto un passaggio da una vita all’altra. Se è doloroso, dovreste trapassare sotto anestesia generale, proprio come se vi togliessero l’appendice. Invece accade esattamente il contrario: noi liberi pensatori, che consideriamo la morte come una fine e non come una transizione, siamo i più fervidi sostenitori dell’eutanasia, mentre i cristiani si oppongono con ogni mezzo. Uccidere è peccato, dicono. Ma perché ne fanno un peccato, se credono di affrettare la partenza per il paradiso? Forse, in fondo, non ci credono troppo.
Dragor