Perché i racconti non vendono?

Creato il 25 agosto 2011 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Riprendo ancora la recensione di “Tramonti d’Occidente”, di Emilia Blanchetti, pubblicata sul sito di Qlibri. Non per parlare ancora di editor e autori, ma perché la chiusa offre un interessante spunto di riflessione.
Il recensore infatti, in conseguenza delle valutazioni espresse, conclude suggerendo: “Infine, prescindendo dal legame che alla fine, unisce i vari personaggi, un esperimento in fase di stesura del romanzo sarebbe stato quello di presentare una raccolta di racconti autonomi, sempre con un filo conduttore comune, piuttosto che un unico romanzo.” Ipotesi che, nel caso specifico non condivido (come ovvio), perché la struttura del romanzo, anche nell’alternarsi dei personaggi, è basata su un unico filo narrativo e su un climax conseguente; e questo, secondo me, è uno dei punti di forza e non di debolezza dell’opera. Ma non è questo il punto.
Ciò che mi ha incuriosito è il suggerimento in sé, a prescindere dalla sua validità per questo romanzo, perché rappresenta un po’ il ribaltamento totale di una delle classiche scelte editoriali che, noi come molti altri, operiamo quando è il caso. Capita infatti, e neppure di rado, di procedere nel senso esattamente opposto a quello ipotizzato dal recensore di Qlibri: trovarsi tra le mani raccolte di racconti in cui alcuni elementi indicano un possibile filo conduttore (l’ambientazione, le tematiche, il ricorrere di alcuni personaggi; e, ovviamente, uno stile omogeneo) e suggerire all’autore di esplorare insieme la possibilità di trasformare la raccolta in un unico romanzo, creando una struttura portante, costruendo una trama unitaria e conservando alcuni percorsi narrativi autonomi che andranno a costituire le indispensabili digressioni.
Ovviamente è una strada che si prova a percorrere solo quando ha un senso. Ma, di certo, non capita mai di ipotizzare il percorso inverso. E questo per una banalissima considerazione: le raccolte di racconti vendono poco, i romanzi un po’ di più. Per cui, se una buona raccolta può diventare un buon romanzo, vale la pena di provare a lavorarci sopra. E dico di più: se ho tra le mani un buon romanzo, lo pubblico senza troppi timori, mentre una raccolta di racconti deve essere perlomeno di ottimo livello, e neppure questo mi garantisce un buon ritorno di vendite.
È questo, la difficoltà di penetrazione sul mercato dei racconti, un luogo comune consolidato dell’editoria italiana. Luogo comune, peraltro, vero e verificato. Noi stessi abbiamo pubblicato, fra i nostri titoli d’esordio, una raccolta di racconti nella quale credevamo molto; e, dal punto di vista letterario, non a torto, perché ha ricevuto solo critiche positive ed è piaciuta a tutti coloro che l’hanno letta. Però, a confronto coi romanzi da noi pubblicati nello stesso periodo, ha venduto pochissimo. E alle fiere, o in altri eventi pubblici, abbiamo constatato direttamente come il lettore, sbirciate le quarte di copertina, riponga sul banco la raccolta di racconti e si orienti verso un romanzo, ovviamente quello che gli pare più plausibile secondo il proprio gusto.
Personalmente non ho alcuna preclusione verso i racconti. Anzi, da semplice lettore li gradisco molto, e trovo che sia anche più semplice mettere insieme una buona e godibile raccolta che realizzare un buon romanzo, dove è più facile denunciare limiti o debolezze così come arenarsi in fasi di stanca. Però, forse, sono l’unico, insieme al recensore di Qlibri, a non avere questa preclusione. E, come direttore editoriale, mi sono dovuto regolare di conseguenza.
Tutto quanto detto sopra valga a preambolo per introdurre una domanda posta a chi ci segue: perché i racconti non vi piacciono? Perché ne diffidate istintivamente e, al momento della scelta, optate invariabilmente per il romanzo?
Mi piacerebbe che le risposte fossero molte. E, siccome i visitatori e lettori del blog (lo verifico dalle statistiche) sono infinitamente di più dei cinque o sei abituali commentatori (benemeriti, beninteso), mi piacerebbe anche sentire la voce, sintetica e chiara, di chi si considera prima di tutto lettore.


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