di Jacopo Guerriero.
L’ultimo romanzopoema di Krauspenhaar:
Un affresco di quando il calcio – e l’Italia – erano in bianco e nero.Uno spunto ironico(e malinconico) pertornare con i “tacchetti per terra” in un’epoca di campioni bizzosi,stadi ipertech e scioperi della domenica.
Il libro
La passione del calcio,
di Franz Krauspenhaar,
è edito da Perdisa Pop,
160 pp., 10 euro
«San Siro era allora un catino a cielo aperto, fatto di gradinate sulle quali si metteva il cuscinetto di gommapiuma con i colori della squadra del cuore. Non stavi al caldo, coperto da un cerchio di ferro.
San Siro era una specie di monumento che richiamava divinità guerresche, che esprimevano il loro volere sul campo per mezzo delle squadre».
Come in un sogno, c’è un’età del cuore che sbiadisce (bianco e nero, poco colore) a segnare La passione del calcio, l’ultima narrazione di Franz Krauspenhaar. Più che un racconto, l’anatomia di una religione perduta. La rievocazione rapsodica, dagli anni 60 ad oggi, di episodi minori, momenti chiave e svolte, gioie, vittorie, sconfitte, colpi di follia, colpi di fulmine, amori e tradimenti, folgorazioni della domenica, dissimulazioni. Filtrati dal ricordo e dall’esperienza personale,mai dalla cronaca. Perché l’autore, milanese, cinquantenne, milanista, poi, a inizio millennio, convertito all’interismo integralista per amore «della sfortuna, degli sforzi inutili, della facciada gregario ostinato di Hector Cuper», previene l’accusa di sentimentalismo e chiarisce: «Certo, preferisco l’elegia a un calcio del tutto devitalizzato». Quello del nostro presente, di scioperi e trasferimenti milionari last minute, di squadroni mercenari. «Non che una volta non ci fosse del marcio, ma almeno si riusciva a tifare la stessa squadra – nel senso: con la stessa formazione “tipo” – per un paio di stagioni. Nel libro non credo di essere tenero con le punture mortali di certi allenatori degli anni 60 e 70, però si respirava un’altra aria». La peculiarità di queste pagine è la rievocazione di un calcio di periferia che nessuno ricorda più: poco vintage da tv, poche finali da raccontare, poche sfide, pochi campioni e molte figure di secondo piano.
Un Bruges-Milan di Coppa Uefa può emozionare più della Champions League. Lo sciagurato Egidio Calloni scalda i cuori più di Zlatan Ibrahimovic. «Ho voluto isolare un periodo lungo della storia del calcio italiano attraverso i miei ricordi. In questo senso questo libro è un romanzo.Ma l’obiettivo centrale era parlare della passione in sé, in quanto tale, per mezzo del calcio.
Raccontarne la vita: l’inizio, la crescita, la decrescita, la fine. La passione come nutrimento, come parabola vitale, che a un certo punto può scomparire nella vita degli uomini».
Ovvio che, poi, in filigrana, puoi scorgere anche i mutamenti e le evoluzioni di un Paese intero. Sottoposto, negli ultimi decenni, a una serie di torsioni capaci di stravolgere ethos e costume. Il calcio è una spia fedele che permette di cogliere ogni variazione. E sembra lunghissimo, anche in queste pagine brevi, il viaggio cominciato con Rivera e Mazzola per arrivare alla dittatura tv dei nostri giorni: tempo di economia e mercato e di angosce indotte. In proposito, Krauspenhaar ha idee un poco particolari: Milano,città che torna e ritorna in queste pagine, ricomincia a piacergli proprio grazie alla crisi. «È diventata più umana. È ormai una metropoli multietnica, nella quale, nel mese d’agosto, i mercati comunali sono strapieni, e questo la dice lunga. La gente torna a parlarsi». Sa un po’ di sollievo, di apertura finale, come la dedica di questo librino che si lascia ricordare: «Alle passioni che non finiscono mai puntuali». E peggio per chi crede il contrario.
[Pubblicato il 23.09.2011 sul settimanale Vita - pagine culturali.]