In epoca medioevale era ancora chiamata Resina, successivamente divenne poi Ercolano, la perla del Golfo di Napoli. In antichità sopratutto i pescatori, su una cosa erano assolutamente tutti d’accordo: prima di navigare per una pesca “straordinaria”, bisognava organizzare assieme ai sacerdoti, un rito che invocasse la protezione divina di Nettuno, Venere ed Ercole, figura mitologica legata alla città. Ma perché proprio Ercole?
Questa versione storica, proveniente direttamente dagli scritti di Dionigi di Alicarnasso, storico greco e insegnante di retorica del periodo augusteo, narra che la città sarebbe stata fondata dal forzuto eroe greco in persona, al termine della sua decima fatica che lo aveva visto protagonista nel sottrarre a Gerione, un re crudele e dall’aspetto terrificante (dotato di tre teste e sei braccia – ndr), le sue mandrie di buoi. Secondo la storia, Ercole nel suo viaggio di ritorno poco prima del rientro in Grecia, si sarebbe fermato lungo le coste campane per far pascolare i buoi, in quanto le terre bagnate dal Mar Tirreno erano proverbialmente molto fertili; infatti Ercolano, edificata seguendo un coltissimo schema greco simile a quello di Neapolis, si trova proprio in un punto altamente strategico, su di uno sperone che discende a picco sul mare e quando i Romani conquistarono la regione si sentirono subito attratti dal fascino e dalla bellezza di questa antica e piccola città.
Pertanto mentre la vicina Pompei era votata prevalentemente al commercio marittimo e alle attività produttive, Ercolano era vista più come una città colta con uno stile di vita raffinato, con case e ville moderne arredate con estremo gusto, ricevendo quindi viaggiatori e mercanti, attratti dalla mitezza del clima e dalla bellezza del paesaggio, così come dimostrano le numerose camere ai piani alti delle insule, destinate all’affitto per la “villeggiatura”; un pianoro vulcanico di soli 320 m con 4mila abitanti, delimitato a destra e a sinistra da due corsi d’acqua che hanno scavato la falesia dando l’impressione che Ercolano si stagliasse su di una piccola penisola. Anche se attualmente l’antica Resina sembra “affondata” nel terreno, tanto che i turisti devono scendere per oltre 20 m sul piano di calpestio, in epoca romana invece la città si presentava addirittura leggermente rialzata sulla costa, offrendo un meraviglioso panorama del Golfo, con ovunque scorci bellissimi di grandiose terme antiche.
Da un antico documento degli anni ’60, firmato da Alfonso Negro, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino, ex calciatore, medico e grande politico della storia Ercolanese, assessore al Turismo e allo Sport, si evince per quali importanti motivazioni si votò per attuare il cambiamento del toponimo da Resina a Ercolano: ancora una volta le motivazioni erano legate a motivi modernissimi, concernenti problemi di mezzi di trasporto pubblico; il trattato, attualissimo nonostante siano passati 50 anni, sottolinea l’opinione pubblica e il problema ercolanese, una volta di squisita natura archeologica, oggi problema di natura sociale e più precisamente, problema di politica urbanistica, di bonifica urbanistica. Avendo raccolto dei consensi nel Consiglio Comunale, Alfonso Negro pose la sua proposta sotto l’attenzione dell’allora Sindaco Caramiello: questa fu recepita e fatta propria dalla Civica Amministrazione, la quale nella seduta del 21 ottobre 1967, tenutasi alla presenza della Contessa Matarazzo, consorte del Sindaco, nel salotto culturale che si teneva presso Villa Ravone, attuale Villa Maiuri, si riunì in seduta plenaria per discutere e deliberare il sospirato cambio di denominazione.
Dopo aver disquisito dottamente della bella Ercolano, l’oratore elenca disparati motivi legati alla conoscenza del territorio per addurre il mutamento dell’etimologia, cambiando quindi anche lo stemma conoscitivo della città, da Partenope, sirena mitologica dalla doppia coda nel mare azzurro, alla figura mitologica dell’eroe greco che ricorda molto nella posa l’Ercole Farnese. Inoltre nel testo dell’antico documento siglato e autenticato, appare la motivazione legata alla Circumvesuviana, con la fermata chiamata Resina, che i turisti stranieri non riconducevano a Ercolano, facendo quindi passare la bella città archeologica nell’ombra e dirottando i turisti solo verso Pompei o direttamente al parco del Vesuvio. Recita poi il significativo documento che l’interesse archeologico è anche un interesse turistico; l’interesse di Ercolano, anche senza le statue e le pitture custodite a Napoli o altrove all’estero, è notevolissimo sopratutto per chi ha avuto la possibilità di visitare i centri archeologici dell’Etruria, della Magna Grecia, del Lazio o della stessa Grecia, meglio può comprendere come nessuna città antica possa offrire al turista ciò che invece offre Ercolano (…).
Alfonso Negro nel documento citò anche Joseph Deiss sostenendo che: Ercolano è il più flagrante esempio mondiale nel campo archeologico di un lavoro lasciato a mezzo, sicché il disseppellimento di Ercolano, una delle più ricche scoperte della storia, può dirsi appena cominciato. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, in nessuna altra parte della nostra terra esiste un luogo pari a questo, in cui il tempo è suggellato in uno scrigno che attende di essere aperto. Dopo questa esauriente esposizione, accolta dagli applausi di tutti i presenti, il Presidente dell’Assemblea apriva la discussione sull’argomento; infine metteva a votazione la proposta di cambiare il nome da Resina a Ercolano: la proposta venne pertanto approvata dall’unanimità per alzata di mano.
Verrebbe spontaneamente da chiedersi: oggi Ercolano è valorizzata come ci si prefisse allora?