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Perché il successo non fa la felicità? Il caso di Robin Williams

Da Mariagraziapsi

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La recente notizia della morte di Robin Williams, molto conosciuto come attore, ma anche famoso come regista, si è dimostrata agli occhi di molti incomprensibile, ed è stata in grado di generare una quantità impressionante di attenzione mediatica e di discussioni. Un aspetto in particolare ha reso la questione difficile da digerire, ovvero che si sia trattato di suicidio: risulta infatti difficile capire come una persona dotata di grande forza di volontà, competenze e di grandi potenzialità nella vita sia potuta arrivare a compiere un tale gesto.

Per iniziare questa spiegazione, è utile partire dalla condizione in cui l’attore si trovava, prima di porre fine alla sua vita: Robin Williams soffriva di depressione. Cos’è dunque la depressione? Che differenza c’è tra depressione e tristezza?

I due psicologi T. Rashid e I. Heider hanno analizzato alcune delle cause della depressione, scoprendo che può insorgere in seguito a un gran numero di eventi comuni nella vita. Nei casi più gravi, traumi subiti in infanzia o gravi abusi possono generare una depressione, ma spesso sono eventi molto più comuni a dare il via alla sua manifestazione, tra cui difficoltà relazionali, perdita del lavoro, o anche semplicemente gelosie. Anche alcuni farmaci o sostanze stupefacenti tra cui l’alcol possono favorirne la comparsa, e questo perché modificano i livelli di neurotrasmettitori nel cervello. Tra questi uno in particolare, la serotonina, è presente in quantità minore quando si è depressi.

La depressione quindi, come la tristezza, può colpire chiunque, indipendentemente dallo status sociale, economico, o dal tenore di vita. A differenza della semplice tristezza però, è definibile come patologia, e come tale ha una genesi, un decorso, e sintomi specifici.

Il DSM-IV riporta alcuni dei sintomi che si possono ritrovare in chi soffre di depressione, e la loro analisi dimostra come essa sia qualcosa di molto diverso dalla tristezza: chi è depresso dorme molto o troppo poco, perde completamente interesse in attività che fino a poco prima risultavano piacevoli, e nei casi più gravi presenta una perdita del rapporto con la realtà. Altra caratteristica di questa malattia è la presenza di pensieri di suicidio.

E’ giusto quindi, arrivati a questo punto, sfatare il mito che vede il suicida come persona debole, o codarda, o incapace di reagire alla sfide della vita: chi arriva a compiere il gesto estremo soffre quasi sempre di un disturbo psichiatrico, che è in tutto e per tutto una malattia, e il cui esito non dipende se non in piccola parte dalla forza di volontà dell’individuo, o dai suoi principi, quanto più dalle cure somministrate e dalla loro adeguatezza.

In quest’ottica è ora forse più facile comprendere la morte di questo grande protagonista del cinema: non si è trattato di debolezza, ma della presenza di una grave malattia per la quale è stato impossibile arrivare a una cura.

E’ giusto conoscere questa malattia per poterla combattere meglio: chi soffre di questo disturbo spesso non è compreso, viene considerato un “perenne triste”, viene addirittura a volte sgridato nella speranza che questo lo aiuti a “tirarsi fuori”. Quando la depressione compare invece, è bene rivolgersi velocemente a una figura competente, e chi sta intorno all’amico o familiare depresso dovrebbe fornirgli sempre tutta la comprensione e la vicinanza possibili.

Riccardo Calandra

Bibliografia

Rashid, T.; Heider, I. (2008). “Life Events and Depression” . Annals of Punjab Medical College 2 (1).

National Collaborating Centre for Mental Health (UK) (2010). Depression: The Treatment and Management of Depression in Adults (Updated Edition).



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