Com’era prevedibile, la Federazione Russa ha risposto alle sanzioni varate dagli USA, dall’Unione Europea e da alcuni altri paesi con delle contro-sanzioni.
Il Decreto n. 560 del Presidente della Federazione Russa, emanato il 6 agosto, ha deciso di punire i paesi sanzionatori (USA, UE, Australia, Canada e Norvegia) col bando per un anno all’importazione in Russia di numerosi prodotti agro-alimentari. Essi sono stati definiti già l’indomani dal decreto attuativo del Governo: si tratta di carne, pesce, crostacei, molluschi, latte e latticini, verdure, tuberi, radici, frutta, salumi, formaggi e prodotti alimentari finiti. Il decreto attuativo è stato prontamente tradotto in italiano dall’ICE (vedi). Rimangono esclusi bevande, prodotti per l’infanzia, prodotti da forno e, fortunatamente per l’Italia, anche pasta e vini (ciò è stato messo in relazione col fatto che il 70% del gruppo Gancia appartiene al russo Rustam Tariko).
Tuttavia, nel 2013 le esportazioni relative ai prodotti sanzionati erano ammontate a 217,8 milioni di euro (131 milioni gli ortofrutticoli freschi, 51 milioni latticini e formaggi, 20 milioni carni fresche e lavorate, 0,8 milioni pesci e crostacei, 15 milioni altri alimentari – dati ICE). Si ritiene che le grandi aziende più danneggiate possano essere Parmalat, Perfetti, Ferrero e Cremonini (vedi La Repubblica). Sebbene questi 217,8 milioni di perdite dirette costituiscano solo una frazione del PIL italiano, il conto potrebbe essere reso più salato dalle perdite potenziali (il mercato russo era in forte crescita) e da quelle indirette. La Coldiretti evidenzia come i prodotti degli altri paesi che perdono lo sbocco russo cercheranno di entrare nel mercato italiano, facendo una concorrenza non sempre leale ai produttori italiani: è il caso di quei prodotti che non necessitano dell’indicazione di provenienza sull’etichetta e perciò sono spesso spacciati indebitamente come “Made in Italy“.
Non è inoltre da escludersi che il braccio di ferro tra Bruxelles e Mosca porti a un reciproco inasprimento delle sanzioni, con ulteriore nocumento per gli esportatori e gli importatori italiani.
Tutto questo, in un momento in cui da anni le imprese italiane sono in sofferenza e l’ISTAT ha appena previsto per il 2014 un calo del PIL dello 0,3% (il terzo anno consecutivo di recessione).
Uno scontro, quello UE-Russia, che capita dunque particolarmente a sproposito per l’Italia: ma i “falchi” che sostengono la linea dura con Mosca potranno replicare che la politica viene prima dell’economia, e i princìpi prima del danaro. A loro avviso, è intollerabile quanto avvenuto in Ucraina. Già: ma cos’è successo in Ucraina?
È successo che il governo democraticamente eletto e costituzionalmente legittimo è stato rovesciato a seguito di moti di piazza capeggiati da miliziani legati a movimenti di estrema destra (alcuni di chiara ispirazione neo-nazista). Il nuovo regime così instauratosi ha subito varato misure ostili alle minoranze etno-linguistiche del paese e, di fronte alla reazione di queste ultime, ha risposto con la repressione. Quando le aree con una diversa identità nazionale si sono sollevate, il nuovo regime ha inviato l’esercito e l’aviazione a combattere contro i suoi stessi cittadini.
Era lecito attendersi che l’Unione Europea, che fonda la sua azione sui princìpi democratici e su uno stato di diritto che tuteli le minoranze, si sarebbe schierato a difesa del governo costituzionale e, come fatto in Kosovo o a Timor Est, delle etnie minacciate. Invece Bruxelles ha scelto l’altro campo. Ciò è chiaramente contraddittorio coi valori sbandierati dall’Unione Europea, ma dimostra una volta di più che a dettar legge è quasi sempre la Realpolitik, di cui i proclami sui diritti umani costituiscono rafforzativi propagandistici ma mai motivazioni a monte.
E dunque: le ragioni della Realpolitik inducono l’Italia a rovinare i remunerativi legami economici e commerciali con la Russia per impedire l’autodeterminazione dell’Ucraina sud-orientale? Ossia di quella regione, per intenderci, che prima di essere incorporata all’Ucraina dal russo Lenin nell’ambito della russo-centrica Unione Sovietica, era nota come “Nuova Russia”, perché dai Russi strappata ai Tatari quando la maggioranza dei suoi abitanti era ancora di etnia rumena e conseguentemente colonizzata.
In tutta evidenza, parrebbe che il contendere l’Ucraina sud-orientale ai Russi – inclusi i suoi abitanti in maggioranza russofoni – non rientri in alcun modo tra gl’interessi nazionali dell’Italia, e certo non in maniera prioritaria rispetto al mantenere i buoni rapporti con Mosca. Riportare l’Ucraina nella propria sfera d’influenza rientra però nelle strategie della Polonia, che per secoli dominò sull’odierna Ucraina centro-occidentale, e della Germania, il cui Drang nach Osten rimane una costante geopolitica che travalica i regimi politici e giunge a Angela Merkel direttamente dai Cavalieri Teutonici.
L’Italia si trova oggi invischiata in una guerra commerciale con la Russia non per difendere propri interessi, ma solo per fedeltà verso partner europei che ragionano in termini di sfere di influenza.