Perché le agenzie di viaggi (in Italia) non ci hanno capito nulla ..e perché cambiare sarebbe meglio per tutti

Creato il 31 luglio 2012 da Angelozinna

No, no, non sono uno di quelli. Non sono e non voglio essere uno di quelli che preferirebbe prendersi a frustate sulla schiena piuttosto che acquistare un pacchetto vacanza, fare un tour organizzato o prenotare un albergo tramite agenzia di viaggi. Non sono uno di quelli perché non c’è niente di male, non c’è bisogno di fare gli snob nei confronti di chi preferisce pagare per un servizio, anziché risparmiare facendo da sé. Anche se, devo dire, ogni tanto mi chiedo, ma chi lo compra più un biglietto in agenzia?

O almeno, questo era quello che pensavo. Come capita a molti, una volta trovata la via del successo nel prenotare i propri viaggi tramite internet, si tende a guardare con disprezzo chi ancora va a chiedere preventivi in agenzia, chi ancora non ha capito che con un paio di click si può spendere molto meno per lo stesso, identico, prodotto. L’avvento sempre più prepotente dei servizi per il turismo on-line, mi faceva guardare quasi con dispiacere quelle vetrine che speravano di convincere l’ultimo arrivato che l’offerta per le Maldive era davvero qualcosa da non perdere. Mi chiedevo “ma chi li mantiene questi tour operator?” (ancora me lo chiedo), come si faccia a guadagnare vendendo vacanze costose a un popolo in crisi, e anche se chi di soldi da spendere ne ha possa comprare pacchetti più di un paio di volte l’anno. Guardavo alle agenzie di viaggi un po’ come ai negozi di dischi, finché non sono arrivato qui, in Oceania, dove mi sono sentito un idiota.

In Australia, per la precisione, non trovavo un’agenzia che non avesse scritto da qualche parte “backpacking”, non ne vedevo nessuna che non puntasse ai quei ventenni che con pochi soldi girano il mondo per lunghi periodi, e sopratutto, sembrava che i migliori clienti fossero quelli che sono già in vacanza, non quelli che devono partire. E non ne trovavo una dove non ci fosse la fila per parlare con qualcuno. “Non ha senso”, mi dicevo, e così ho iniziato a chiedere, sentendomi, ancora una volta, un idiota.

L’agenzia di viaggi classica ha i suoi momenti di picco due volte all’anno, durante i periodi di ferie d’estate e d’inverno. Il resto è un tirare avanti tra l’organizzazione di qualche gita e qualche commissione di fortuna. Le agenzie di questo genere non puntano ad una clientela di nicchia, ma a tutte quelle persone che non vogliono stare a impazzire per arrivare dove vogliono durante le due settimane libere che hanno d’agosto. La maggior parte dei clienti di un’agenzia classica lavora tutto l’anno o quasi, e cerca un modo semplice per andare in vacanza appena può. Peccato che, tra chi ha imparato a fare da sé e chi ogni anno torna nella solita casa al mare, questo gruppo è sempre più piccolo.

Cosa succede allora in Australia (e molte altre parti del mondo)? Il gioco si rovescia, e quello che prima era un negozio di dischi, diventa oggi un negozio di stumenti musicali. L’agenzia turistica dell’era digitale non punta più soltanto al cittadino medio che vuole partire per le ferie, che essendo sempre più spesso al passo con i tempi, non è più un cliente affidabile. L’agenzia per backpackers punta su chi è già in viaggio, offre gli strumenti giusti per semplificare la vita a chi sa già di dover spendere dei soldi per muoversi. Ma come si fa a vendere un servizio a chi è così fiero della propria identità di viaggiatore indipendente? Come si fa a sperare di guadagnare su ventenni che non hanno una lira in tasca? Semplice, si vendono viaggi sviluppati per chi non vuole essere legato, si permette al cliente stesso di costruirsi il proprio tour, e si mettono insieme persone con la stessa mentalità. E poi ci sono decine di servizi accessori, dalle fotocopie, all’accesso ad internet, alle mappe della città, fino a chi aiuta a trovare lavoro, chi organizza eventi per nuovi arrivati, e così via. E poi, a volte, c’è anche chi compra un pacchetto.

Insomma, mettiamo le cose in chiaro. Il viaggiatore a budget limitato, zaino in spalla, è un entità che non si può ignorare. Il backpacker è oggi la categoria di turista più grande al mondo, e l’Europa è la principale destinazione. L’Italia riceve ogni giorno centinaia di ragazzi che non vogliono fare altro che visitare il territorio spendendo poco, conoscere il Paese dall’interno, e magari capire come si vive dalle nostre parti. E infine c’è l’operatore del turismo italiano, che ignora completamente questa realtà, che pensa che il turista sia ancora il tedesco con sandali e calzini che viene a pagare quattro euro per un gelato, e lascia ingestita una fetta di mercato così grassa, continuando a vendere un servizio malcostruito ad un cliente che non esiste. Quanto ci vorrà a capire che andare incontro al viaggiatore, anziché fregarlo ogni giorno, è l’unico modo per farlo tornare, è l’unico modo per farlo parlare di noi? Quanto ci metteremo a capire che sul lungo termine converrà più a noi che a loro diventare un Paese traveller-friendly? Perché, mi chiedo, siamo così indietro?


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