Perché le elezioni in Iran sono importanti

Creato il 19 giugno 2013 da Yleniacitino @yleniacitino

da ragionpolitica.it

Subordinato alla guida suprema e incontrastata del leader spirituale – l’ayatollah, il nuovo presidente dell’Iran dovrà affrontare una situazione molto calda, quella di un Paese duramente colpito dalle sanzioni internazionali. Ritenuto per anni Stato Canaglia e vivaio del terrorismo di matrice islamica, l’Iran sta oggi tentando di uscire dalla posizione di isolamento che gli ha impedito di sviluppare un potenziale economico e industriale di tutto rispetto.

Il programma di arricchimento dell’uranio, portato avanti con intransigenza dall’ayatollah Khamenei, è stato solo l’ultimo fattore di una lunga serie che ha contribuito al deterioramento delle relazioni dell’Iran con l’Occidente. Il processo democratico del Paese, alla luce di queste ultime elezioni, sembra ancora ad uno stadio iniziale. Solo otto degli almeno settecento candidati sono stati ammessi nella corsa elettorale e le Guardie Rivoluzionarie iraniane hanno provveduto con zelo ad informare la popolazione che parlare di «elezioni libere e giuste» sarebbe stata un’incitazione alla sedizione di matrice statunitense.

Le elezioni iraniane rimangono importanti e non sono, come molti potrebbero essere indotti a pensare, vicende confinate entro i confini nazionali o di moderato interesse solo per la politica regionale. Il modo in cui queste elezioni si svolgeranno decreterà il successo o meno dell’influenza della comunità internazionale su un Paese che fino ad oggi ha agito nella noncuranza di un sistema di relazioni multilaterali. Proprio le sanzioni, infatti, sono state al centro della campagna elettorale di questi giorni.

Le conseguenze deleterie che si stanno pian piano manifestando sul tessuto economico del Paese delineano in modo drammatico le preoccupazioni degli elettori. Il forte impatto delle sanzioni, ad esempio, aveva già portato recentemente all’eventualità di una ridiscussione nei piani alti delle istituzioni nazionali della posizione iraniana. La moneta domestica, il riyal, ha subito un crollo di valore rispetto alle valute straniere (passando da quota 10.000 a 35.000 rispetto al dollaro) contribuendo ad esasperare il tasso di inflazione.

La disoccupazione è aumentata terribilmente a causa del dimezzamento dei proventi dalla vendita di petrolio. Persino le banche iraniane, come conseguenza delle misure finanziarie restrittive, sono finite ai margini dei circuiti bancari internazionali, trovandosi praticamente impossibilitate ad operare transazioni con l’estero. Il tutto combinato con la politica fiscale fallimentare del presidente uscente Ahmadinejad. Alla luce di tutto ciò, i grandi centri decisionali del potere stanno progressivamente aprendosi al compromesso, avendo toccato con mano gli effetti nocivi di un arroccamento politico che ha avuto più danni che benefici.

Tuttavia, il rischio che l’Iran continui nella sua politica di intransigenza, trasformandosi in una potenza nucleare autoritaria, isolata e in declino sul modello della Corea del Nord, non è insussistente. Il potere politico, e non soltanto ideologico, dell’ayatollah Khomeini continua a permeare ogni ciclo di rinnovamento delle istituzioni, rendendo sempre più lontano quel miraggio di «elezioni libere e giuste».

Ylenia Citino


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